Dettagli Recensione
Top 500 Opinionisti - Guarda tutte le mie opinioni
Il naufragar tra i meandri di Roma.
Ho deciso di affrontare questo romanzo una volta letta la trama, interessante e misteriosa al punto giusto, che ha risvegliato subito in me tutta la mia passione verso le vicende strane, ambigue, enigmatiche.
“La serpe e il mirto” sembra avere, insomma, tutte le carte in regola per essere considerato un tomo avvincente. Ma purtroppo, mano a mano che la lettura prosegue, il senso di delusione aumenta fino a diventare insopportabile.
Anzitutto perché questo romanzo non ha una vera e propria trama: si parte presentando la misteriosa Pensione Internazionale, ubicata nell’insignificante- ma al contempo singolare- vicolo dei Serpari, una delle tante stradicciole che si snodano nella città di Roma.
E’ proprio qui che finisce, per puro caso, Aguilar Mendes, docente universitario in viaggio dall’Argentina.
Fino a qua tutto okay: un buon inizio, peraltro accompagnato da uno stile piuttosto scorrevole.
Ma non è concesso il tempo di esaltare questa prima parte che, subito, appare una delle tante falle che ricoprono la “ struttura-groviera” della vicenda: viene presentato ,infatti, Regenbogen , un personaggio descritto con tanta cura da essere inserito immediatamente tra i personaggi principali. E invece? No, dopo il primo capitolo Regenbogen scompare nel nulla, senza che l’autore ne parli più.
Le pagine scorrono, una dopo l’altra e ci si avvia sempre di più in coincidenze fin troppo casuali per essere credibili. Ma spesso, addirittura, le cose non vengono proprio spiegate! Come il motivo per cui Aguilar Mendes ,dopo essere svenuto e piombato per caso nella Pensione Internazionale, continua a dormire e a passare lì le sue giornate, senza che si parli di alcun motivo che lo abbia spinto a prendere quella decisione.
Continuando a leggere, l’unico che sembra possa essere il vero motivo di tutto –anche se si tratta solamente di supposizioni- è l’atmosfera di mistero che aleggia nella camera 307 e che ammalia sin dal principio il caro professore. Lui in quella stanza inizia a sentirsi travolto dall’infinità del tempo, il Tempo-Uroboros rappresentato dal serpente che si morde la coda.
E’ da questo momento che tutto inizia a confondersi: la trama non è più riconoscibile, c’è un continuo alternarsi di analessi e prolessi, si comincia a non distinguere più quali siano i sogni e quali siano che cose realmente accadute ed eventualmente quali siano successe prima e quali altre dopo!
Le conversazioni si cimentano sullo spiritismo, sullo gnosticismo e su altre correnti filosofiche di cui, lo ammetto, conosco ben poco. E’ tutto molto poco chiaro e anche lo stesso lessico inizia ad essere molto, troppo specifico.
Improvvisamente l’autore inizia a parlare di un enigma da sciogliere ma, tutt’ora che ho potuto riflettere a fondo sul romanzo, non riesco a identificare chiaramente di cosa si tratti. Insomma, alla fine sono ben pochi gli incentivi a continuare una lettura così sibillina, troppo aperta all’immaginazione-interpretazione.
Nonostante tutti questi difetti e nonostante per “La serpe e il mirto” sia stata per me una vera delusione non escludo il fatto che possano esserci persone capaci di apprezzare questo libro. Stefano Valente è uno scrittore molto capace, autore di altre opere che si sono aggiudicate premi importanti. Magari con una conoscenza molto, molto approfondita sui temi affrontati nel romanzo e una buona capacità di interpretazione si possono cogliere particolari e significati che non sono stato capace di identificare.