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Bibbuzza mia...
Per sublimare una materia grezza e un po' sordida ci vogliono maestria, arte e magia, doti che Camilleri dimostra di possedere al massimo grado in questo romanzo, l'ultimo e il migliore della sua Trilogia delle metamorfosi.
Protagonista è Giurlà, cresciuto vicino al mare e figlio di un pescatore, che scopre di appartenere alla terra quando le necessità economiche della famiglia lo portano lontano da casa a lavorare come pastore di capre.
Il primo contatto del ragazzo con l'acqua dolce di un lago, mai assaggiata, è una rivelazione, e fa emergere una carica sensuale che sarà il leitmotiv dell'intera narrazione:
“Tirò fora la lingua, si liccò le labbra. Era acqua duci, che si potiva viviri”.
Giurlà non ci metterà molto ad ambientarsi e a capire che il suo posto è lì, tra i prati e i pascoli, ad inebriarsi di odori e colori:
“... la campagna aviva cento profumi che s'intricciavano l'uno con l'autro e addivintavano milli, dumila...”.
Svegliarsi al mattino presto con animo tranquillo, mangiare pane, formaggio e olive, lavarsi sotto la cascatella ghiacciata del lago, portare le capre a pascolare: la vita agreste fa proprio per lui, mentre diventa uomo, riceve orgoglioso la sua paga, beve per la prima volta vino e scopre il sesso.
Semianalfabeta, trova un libro nella sua capanna e resta incantato dalla lettura del poeta Lucrezio, che gli insegna a riflettere sulla vita e sulla morte, sul mutamento necessario delle cose...
Ma a fare la differenza sarà la passione inaspettata per Beba, sentimento che affonda le radici nel mistero dell'esistenza.
Ed ecco la magia, la capacità di trasformare in una storia d'amore ciò che potrebbe sembrare una depravazione ... perché Beba è una capra.
Capra sì, ma anche femmina furiosamente gelosa (le sue scenate a base di morsi e cornate sono esilaranti).
Lei lo riconosce dal primo giorno e vuole stargli sempre vicino, vuole lui, non c'è dubbio, e Giurlà finisce per volere lei e solo lei, con il cuore ed i sensi: “La tò mancanza mi maciria, mi fa la solitudini cchiù solitaria”.
Non ci sono ostacoli insormontabili in questa storia, dove creature agli antipodi si incontrano e si uniscono al di là della ragione e dei pregiudizi.
“Bibbuzza mia, beddra, soli me, cori me...”, mormora Giurlà quando crede che ormai tutto sia perduto, e il suo dolore arriva al lettore con incredibile intensità.
E' più verosimile che un capraio sposi una capra o una marchesa?
La risposta, tutt'altro che scontata, è racchiusa in queste pagine mistiche e carnali.
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Senti ma quale e' il primo di questa trilogia che me lo segno ? Così evito di iniziare dal fondo, se mi capitan per le mani.
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