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Generazioni di fenomeni
“Ma dove ca**o sei? Ti ho telefonato almeno quattro volte, non rispondi mai.”
“Gli sdraiati” era sotto l’albero per me. Padre di adolescente, genitore distratto e confuso, sicuramente incapace di comprendere il proprio figlio, anche lui, come il protagonista, in posizione perennemente orizzontale.
Michele Serra, il perfetto tramite per farmi capire le difficoltà di essere padre che vuole fare il padre. Io, cresciuto alle fine delle grandi contestazioni, il tramonto degli anni di piombo, i Duran Duran e gli U2, e diventato adulto mentre crollava la prima repubblica, non potevo ricevere regalo migliore.
Lo pensavo leggendo la terza di copertina, sorridente, un sorriso compiaciuto, di chi si sente già appagato alla sola vista del condizionatore, ancor prima di averlo acceso.
E invece dopo qualche pagina ho capito subito di essermi sbagliato, la penna graffiante di Serra, caustica, incisiva, appare subito spuntata. Troppo autocompiacimento, Serra scrive specchiandosi, come Narciso. E fallisce il primo bersaglio.
Intendiamoci, l’autore è un grande giornalista, e non ha certo bisogno che lo dica io. Scrive per il teatro e la televisione, e ha trovato pure l’argomento giusto, il difficile e spesso impossibile, anzi praticamente inesistente, rapporto tra padre e figlio, e il tentativo (disperato? tenero? lucido? tragicomico?) di costruirlo. Ma un libro miei cari è un’altra cosa, qui siamo piuttosto di fronte ad un eccellente articolo pieno di lucide e fulminanti riflessioni, prossime agli aforismi, poi allungato, diciamo pure annacquato, da diverse digressioni, alcune un po’ troppo macchinose, la Grande Guerra Finale e il capitolo sulle felpe Polan&Doompy su tutte.
Altro bersaglio mancato, anche se devo ammettere che non ho capito se Serra lo fa apposta, è la figura del padre che per tutto il romanzo si affanna per stabilire un contatto con il figlio sapendo già di non poter comprendere, ma solo di volere bene incondizionatamente.
In questo tentativo, che poi è il lungo monologo che ci accompagna per poco più di cento pagine, si chiarisce soltanto l’accorata rassegnazione del padre, assoluto protagonista, ma non approfondisce, come secondo me si dovrebbe, la figura del figlio e il libro si dirige in questa lunga corsa in solitario verso un finale, che ahimè odora tanto, lo so la parola che sto per dire è un po’ bruttina, di retorica.
In realtà lo “sdraiato” è novanta gradi avanti rispetto all’ hombre vertical, sa dominare la tecnologia, naviga a vele spiegate su internet, legge, ascolta musica, guarda la tv, chatta, gioca, tutto contemporaneamente. I nostri figli ci surclassano con il loro approccio in parallelo, e noi, abituati a fare una cosa alla volta - non sappiamo iniziarne un’altra se prima non abbiamo finito quello che stiamo facendo - soccombiamo.
Per sopravvivere, non ci resta che provare ad avere con loro un dialogo continuo, a volte scomposto, rumoroso, quasi fuori tempo massimo, e non solo lungo la linea del traguardo come sembra suggerirci il buon Serra.