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La foto di una generazione?
La foto di una generazione?
Per comprendere il senso del titolo del libro e farsi un’immediata idea del suo contenuto sarebbe sufficiente riportare questo suo passo (un padre sta raccontando il proprio figlio). “Eri sdraiato sul divano, dentro un accrocco spiegazzato di cuscini e briciole. […]. Sopra la pancia tenevi appoggiato il computer acceso. Con la mano destra digitavi qualcosa sullo smartphone. La sinistra, semi-inerte, reggeva con due dita, per un lembo, un lacero testo di chimica, a evitare che sprofondasse per sempre nella tenebrosa intercapedine tra lo schienale e i cuscini, laddove una volta ritrovai anche un wurstel crudo, uno dei tuoi alimenti prediletti. […] Non essendo quadrumane , non eri in grado di utilizzare i piedi per altre connessioni; ma si capiva che le tue enormi estremità, abbandonate sul bracciolo, erano un evidente banco di prova per un tuo coetaneo californiano che troverà il modo di trasformare i tuoi alluci in antenne, diventando lui miliardario in poche settimane, e tu uno dei suoi milioni di cavie solventi”.
Il romanzo è una sorta di diario di un padre divorziato alle prese con il difficile compito di gestire il rapporto con il figlio diciassettenne. Con riferimento a quest’ultimo, vengono descritte, con analisi caratteriale e ironia tipiche di Serra, le problematiche proprie di una generazione sulla quale, peraltro, si possono formulare, a mio avviso, solo ipotesi circa l’origine, ma non la conclusione. Credo, al riguardo, che tra il diciassettenne attuale e quello di venti anni fa non siano rinvenibili esagerate differenze, se non quelle prodotte dall’esplosione tecnologica di questo ultimo periodo, con ciò che essa ha comportato negli usi e costumi di tutti, ma in particolare - per gli effetti più che altro voluttuari - dei giovani. Se il protagonista, come avviene nel racconto, avesse cercato di far partecipare venti anni fa il figlio diciassettenne alla nobile attività della vendemmia, con i suoi orari e i suoi ritmi, avrebbe riscontrato un analogo senso di (non)partecipazione. Forse il figlio non se ne sarebbe rimasto a letto fino all’ora del pranzo; sicuramente si sarebbe dovuto accontentare della musica prodotta da un modesto lettore di cassette e non avrebbe potuto smanettare uno smartphone; assai difficilmente, in ogni caso, avrebbe fatto molto più che sedersi all’ombra di un albero secolare, fumando una sigaretta e a discettando col cugino o l’amico di turno. Forse un’altra differenza potrebbe essere rappresentata dall’oggetto della conversazione: sarà un’idea mia, ma il diciassettenne di venti anni fa aveva un maggiore impegno culturale. Comunque sia, tanto allora quanto adesso nessuno di loro si sarebbe fatto irretire dal progetto campagnolo del genitore.
Il problema è che la generazione degli “sdraiati” – colpa anche delle problematiche occupazionali che stanno aggredendo specialmente i giovani – si sta allungando e, allo stato, non se ne vede la fine. Certe descrizioni che Serra dedica al modo d’essere e di atteggiarsi del figlio diciassettenne e degli atri membri della sua “tribù” ben potrebbero adattarsi a soggetti di età nettamente superiore.
Lo smanettamento, stravaccati su un letto o su un divano (ma anche a tavola), di smartphone e pc (o tablet), utilizzati più che altro per la comunicazione attraverso totem ormai universali quali Facebook e What’s up (per citarne un paio), magari con gli auricolari dell’Ipod a tutto volume, accomuna giovani di età ben diversa.
Anche la massificazione dei consumi nel settore dell’abbigliamento, con propria identificazione in pochi marchi, spesso di gusto e qualità piuttosto discutibili, è caratteristica che non trova pause temporali e che affratella soggetti anche con dieci e più anni di differenza.
In questo romanzo Serra dà prova, ancora una volta, del suo talento poliedrico. Chi lo segue da sempre conosce bene le sue capacità di destreggiarsi egregiamente in ogni campo. Potrebbe descrivere e commentare, con la giusta competenza e senso dell’ironia, avvenimenti di ogni genere.
Nel testo in commento, assolutamente esilaranti sono, tra le altre, le pagine nelle quali descrive le atmosfere ridicole e la tipologia di utenza del negozio trendy Polan & Doomphy. Un po’ stiracchiata, per contro, la parte dedicata dal protagonista ad un proprio romanzo in fieri, “La Grande Guerra Finale”, che egli ipotizza come inevitabile, in un giorno futuro, tra vecchi e giovani.
Lettura, nel complesso, ovviamente consigliata.