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Il canto delle sirene
Basta che Camilleri chiuda gli occhi “pi vidiri le cose fatate”, ed è così che la storia del contadino che sposa la sirena, ricordo della sua infanzia, diventa un racconto dal sapore arcaico, condito di ironia e sensualità.
Gnazio Manisco, contadino e muratore, torna a Vigàta, suo paese natale, dopo venticinque anni passati in America. Lo attende un destino insolito, perché insolite sono le due principali scelte della sua vita: la terra che acquista e la donna che sposa.
La prima, lo capisce al primo assaggio (“...pigliava ’na pizzicata di terra tra il pollice e l’indice e se la mittiva supra la lingua”), è terra buona, ma nessuno la vuole comprare: l'ultimo proprietario, svegliato una notte da un lamento, impazzì dopo un incontro ravvicinato con un mostro marino.
La seconda cruciale scelta si chiama Maruzza Musumeci, e forse perché nata su una barca in mezzo al mare ogni tanto crede di essere una sirena e sente forte il richiamo dell'acqua.
Glielo spiega la gnà Pina, vecchia un po' strega e sensale del paese, dopo mesi di proposte andate a vuoto ed un divertente siparietto di candidate.
“Stavota la cosa mi pare seria”.
Quelle dedicate alla gnà Pina, personaggio chiave del romanzo, sono pagine spassose e cesellate alla perfezione, tra battute salaci, proverbi antichi e cantilene magiche.
Le titubanze di Gnazio, che oltre ad odiare da sempre il mare teme di ritrovarsi per sposa una matta, svaniscono di fronte alla rara bellezza di Maruzza: “Era meglio di tutte le fimmine che aveva vidute nella Merica”.
E soprattutto: “Da sutta la gonna spuntavano i piduzzi che addimostravano che era fimmina e no sirena”.
Sirena o no, dal momento che l'amore si impossessa di lui nessun ostacolo gli sembra insuperabile e l'aura di stranezza che circonda la sua amata sembra accecarlo deliziosamente: “La vogliu”.
Maruzza canta in greco antico e la sua voce è un vento caldo che ammalia, annusa il suo pretendente e gli lecca la punta dell'orecchio: “Bono”, sentenzia, e ricomincia a cantare.
A certe sue stravaganze Gnazio si adatta facilmente grazie ad un matrimonio felice e alle gioie dei sensi: “Fimmina era, eccome se era fimmina! La natura fimminina era indove doviva essiri. Che minchiate gli contava Maruzza?”
Del resto, dal canto di una sirena che ama non c'è nulla da temere (la sua passionalità è anzi illimitata), ma da una che serba rancore è meglio stare alla larga.
Lo capiranno a loro spese due uomini, due “Aulissi” (lo scrittore strizza l'occhio al mito di Omero), contro cui occorre vendicarsi per un torto subito nella notte dei tempi...
La guerra e i bombardamenti arrivano alla fine della storia e turbano la quiete terrena, ma nulla possono contro quella ultraterrena. Basta accostare l'orecchio a una certa conchiglia per dimenticare il trambusto di mitragliatrici e cannoni, ascoltando un canto melodioso...
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@Enrico e @Cub: vi ringrazio e ve ne consiglio senz'altro la lettura, che soprattutto nella prima parte è anche molto divertente! :-)
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