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“Non so”, che è il titolo del libro e anche...
“Non so” se, in quanto primo romanzo che leggo di questo autore, resto con qualche perplessità.
Licalzi è bravo. Sa far sorridere e, a volte, ridere di gusto. E sa anche (un po’) commuovere. Il problema, forse, almeno per me, è che fa tutto insieme, mescolando ingredienti non sempre compatibili.
Quello in commento, per dire, è un romanzo che si potrebbe dividere in due parti, o forse anche in tre.
Nella prima, quella dei ricordi dell’età scolastica ma anche del matrimonio e della nascita del figlio, è, di fatto, quasi una sorta di cabaret.
Ci sono passaggi veramente spassosi, tipo quello in cui il protagonista arriva a fare “calcoli prospettici con penna e righello per stabilire quale fosse il banco meno visibile dalla cattedra” per evitare le interrogazioni; o quello in cui prova ad immaginare l’avventurarsi di un lupetto, fattispecie forse estinta di giovane boyscout, in quella sorta di Bronx che era l’oratorio. E anche tanti altri, maggiormente godibili, peraltro, da coetanei (o quasi) dell’autore, in quanto da essi vissuti in prima persona.
C’è, poi, una seconda parte più seria che – lo dico con consapevole, masochistica e fustigabile ironia – dovrebbe piacere molto alle lettrici coniugate, visto che il nostro, per amore della moglie (distante migliaia di chilometri), non solo si rifiuta ad una bellissima ventenne giapponese seminuda, con tanti “no” da riportare alla mente quelli indimenticabili di M. Douglas a D. Moore in “Rivelazioni” (però, mi si consenta, “è più facile che un cammello…”), ma, sia pure, in momento della storia che è drammatico, s’impratichisce ed impara ad amare, e perfino a desiderare, roba come pannolini, pappine, ecc. fino a quel momento a dir poco evitata.
Ecco, direi che lo stacco tra la prima parte e certi punti della seconda – dagli sketch al racconto della moglie in coma, con annessi strazianti ricordi di vita comune – sia talmente dirompente da creare qualche scompenso nel lettore, se non altro circa l’esatta tipologia di romanzo che sta leggendo. Su di me, quanto meno, ha prodotto questo effetto.
C’è, infine, una terza parte (quella dei “neo sposini” in viaggio negli U.S.A.) che non aggiunge alcunché alle precedenti; non fa ridere, né piangere, né riflettere. Allunga solo un po’ il brodo. Inutilmente.
Lettura consigliata al mattino, sulla metro, per non giungere troppo incupiti in ufficio.
P.S. Le citazioni musicali sono veramente eccessive, anche per cultori della materia.