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A che serve essere giovani
Come conferma del fatto che i libri ci aiutano a comprendere, come i testimoni e come gli amici, ho apprezzato l’ultimo romanzo di Raffaella Romagnolo, “Tutta questa vita” (Piemme 2013). Comprensione dell’adolescenza, sicuramente, che è l’argomento principale. Quasi un’empatia. Già dalla citazione di Barnes in capo al libro: Sì, certo, eravamo presuntuosi, se no a che serve essere giovani? È difficile trovare chi ci racconti l’adolescenza senza ricorrere alle stucchevolezze dei lucchetti sui ponti. Quegli anni in cui s’insegue la verità a tutti i costi, senza badare a chi si ferisce, come il migliore degli ideali e dei mondi possibili. In cui sembra che per essere se stessi si debba essere “contro” qualcosa. In cui ci si sente brutti e trascurati e ogni fatto è travisato per dimostrare che anche gli altri lo pensano. In questo senso un romanzo di formazione, ma più ancora di nostalgia per la propria adolescenza.
Paoletta prima mette sua madre nel mirino di ironia e critica feroce, poi, di fronte alla verità, sfoggia una tenerezza infinita: Quando chiedi scusa, speri che l’altro ti perdoni. Come farà, la mia mamma, a perdonare se stessa? Non più mami, non più Monica Costa la Walkiria, la mia mamma. La ragazza si riappropria di lei e non la lascia più, con la stessa assoluta determinazione di quando l’allontanava. I giovani sono così: tutto o niente.
Poi, il silenzio nella famiglia. “Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo, e il nostro modo è il silenzio. (…) É una roba che ti si attacca addosso, il silenzio, come una colla, un tic, come le sigarette, vorresti smettere ma non puoi.” (pag. 160).Il silenzio che ignora, che nasconde, quello che comprende ma anche quello che protegge. Il silenzio ostinato di chi si chiude nelle proprie ragioni; il silenzio altero di chi mette a tacere per imporre l’autorità; il silenzio doloroso di chi maschera la tragedia sotto l’apparente normalità, per continuare a vivere; il silenzio consapevole di chi garantisce che la vita cresca per i più deboli fino al loro riscatto. Fino al momento in cui tutto viene a galla e la madre spiega: “Quattro cene, e fine del silenzio. Ci stavamo dentro come una bolla, e adesso non c’è più.”(pag.168).
La vita segue, come anche ne La masnà, la genealogia femminile della famiglia. La battagliera nonna, la coraggiosa madre, la protagonista adolescente.
Il personaggio maschile sicuramente vincente è Richi, il fratellino disabile di Paola, la cui intelligenza e tenacia permettono all’autrice di raccontare la diversità lasciandola “dove sta, al suo posto, dentro la vita”. E’ l’atteggiamento che da sempre i disabili chiedono: essere lasciati dentro la vita, essere trattati come chiunque altro, senza facili buonismi né pietà pelosa.
Al centro di tutto, anche se si verrà a scoprire tardi, il centro attorno a cui ruota ogni comportamento e ogni personaggio è la vita di chi abita nel villaggio delle Margherite, e su cosa materialmente questa vita si svolge: uno scottante argomento del nostro tempo, il nuovo male, il nuovo attentato alla sacralità della vita, che non voglio rivelare per non togliere al gusto del leggere la storia la sua più tragica e coinvolgente sorpresa.
Infine, il perdono. La capacità di fare la cosa giusta, che è poi il raggiungimento della maturità piena, della capacità di prendere in mano la propria vita.
Un libro che consiglio vivamente, per ogni età, visto lo stile moderno e scorrevole che l'autrice adotta, senza rinunciare all'italiano impeccabile che la contraddistingue da sempre.
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Questo libro ha un titolo MERAVIGLIOSO.