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Anonimo veneziano
Cos’è “Anonimo veneziano”? Per la maggior parte delle persone un gran bel film, una colonna sonora famosissima: in realtà è un piccolo capolavoro della letteratura italiana lasciatoci da un grande scrittore come Giuseppe Berto.
“Anonimo veneziano” deve il suo titolo all’Adagio del Concerto per Oboe in re minore di Alessandro Marcello; la musica ha un ruolo importante in questo romanzo innanzi tutto perché i protagonisti sono musicisti poi perché diventa la colonna sonora di un amore ma anche il riscatto, l’ultimo dono di una vita forse sbagliata.
Lui aspetta lei alla stazione, si rivedono dopo più di otto anni, tutti e due sulla difensiva, a farsi del male, a scoprire di amarsi ancora di quel loro amore possessivo, unico….l’incontro, il rivedersi, dura il tempo di una giornata, scandito dall’orario dei rapidi che da Venezia vanno verso Milano e che lei ogni volta manca di prendere fino all’ultimo, quello delle 21.18, quello che ha promesso a lui che prenderà senza storie perché a lui le storie non piacciono.
Venezia è la coprotagonista di questo romanzo, con la sua decadenza, le sue piazze, le fondamenta, la marea, la nebbia che piano piano avvolge tutto e le rende i capelli pesanti (poveri capelli tuoi, sono diventati spinaci) il suo odore di morte: l’autore stesso nella breve prefazione ci spiega il ruolo cardine di Venezia “…e per stabilire tra il protagonista che sta morendo e la sua città che sta morendo insieme a lui, un più pietoso legame”. Già, lui sta morendo, ha pochi giorni di vita ed è la sua “paura della paura” ma anche la voglia di trovare il coraggio di morire che lo spinge a cercarla dopo tanto tempo, la volontà di affrontare gli ultimi giorni con l’immagine di lei negli occhi, nella mente, nei ricordi.
“Anonimo veneziano” è nato come sceneggiatura nel 1967, pubblicato nel 1971 sotto forma di testo a dialoghi e poi nel 1975 rieditato sotto forma di vero e proprio romanzo con l’aggiunta di una prefazione dell’autore nella quale Berto ci fa sapere “..che in vita mia non avevo mai lavorato tanto per scrivere tanto poco…” talmente tanto ha dato e aggiunto ai suoi personaggi e alla storia stessa.
Questo è uno splendido romanzo d’amore, potrebbe tranquillamente essere stato scritto almeno un secolo prima in pieno ‘800, per l’ambientazione, i dialoghi, i sentimenti portati all’eccesso e invece è moderno, estremamente moderno ed attuale come lo sono sempre i sentimenti d’amore o di dolore che siano.
Giuseppe Berto inserisce nel racconto tre omaggi: il primo all’Ecclesiaste nel quale il protagonista trova le risposte a qualsiasi accadimento della vita (E nessuno può niente - sul giorno della morte); il secondo ad un film cult degli anni ‘70 “Metti una sera a cena”; il terzo ad un altro capolavoro come “Morte a Venezia” al quale dedica un brano del dialogo fra i due (Quando sei fottuto, l’unica cosa che può consolarti è che insieme a te siano fottuti anche gli altri).
E’ difficilissimo rendere lo struggimento che ci avvolge e pervade mentre si legge questa storia d’amore e morte ma è molto arduo anche spiegare a parole la poesia dei periodi in sé, delle descrizioni, la scelta delle parole, il piacere che si prova leggendo un italiano come questo.
La frase più bella, che ha per me un profondo significato la pronuncia lei quando apprende della malattia di lui “Vorrei che fossi già morto”…. poi leggendo di Venezia, del Concerto che lui sta finendo di incidere ho pensato che la vera ingiustizia, la vera tristezza è che purtroppo le cose così come le città ci sopravvivono, nonostante noi.
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:-)
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Pia