Dettagli Recensione
Il cavaliere inesistente
Qui si cantano i cavalieri, le armi e gli amori che palpitano in un alto medioevo di fantasia, dove ogni esigenza di verosimiglianza storica cade di fronte al gusto dell’autore nel narrare una lunga e divertita fiaba. Paladino di Carlomagno, Agilulfo è solo un armatura vuota, benché immacolata nel suo bianco splendente. Per contrastare il suo essere sempre così perfettino, in battaglia e di corvè, il re gli affibbia come scudiero Gurdulù, l’uomo dai mille nomi che è il suo esatto contrario, visto che a una debordante presenza fisica accoppia una totale svagatezza mentale. Alla loro storia, si intrecciano quelle della bella Bradamante, del giovanissimo Rambaldo e del cupo, benché poco più che ragazzo anche lui, Torrismondo: quando i fili si ingarbugliano, si ritrovano tutti a cavalcare verso i quattro angoli del mondo impegnati in una ricerca (una ‘quest’ direbbero quelli che parlano forbito) che li accompagna sorridendo alla naturale destinazione del lieto fine. Leggendo, si procede incantati proprio come si fa quando si ascolta una favola che alterna, con equilibrio ammirevole, momenti di avventura e sprazzi di irresistibile comicità, ma, come in tutte le favole, si può scorgere sullo sfondo un robusto fondamento di realtà. L’idea di Agilulfo e del suo svagato, speculare Sancho Panza nasce in Calvino meditando, pensa te, sulla condizione dell’uomo moderno, impegnato in un difficile dibattersi tra concretezza e superficialità alla ricerca di un modo di essere che troppe volte non sa focalizzarsi sugli aspetti importanti della vita: gli altri personaggi servono come variazioni di tale motivo principale, mentre le idee di progresso sociale care all’autore (che usciva allora dall’infatuazione comunista) si possono ritrovare nell’episodio della reazione degli abitanti di Curvaldia ai caricaturali Cavalieri del Sacro Gral. In aggiunta ci sono le meditazioni sul fatica di scrivere e pagina bianca di suor Teodora – che meraviglia, però, la rappresentazione quasi cinematografica delle mappe - ma il libro resta godibilissimo anche a prescindere da simili diramazioni ideologiche: le sue poco più di cento pagine scorrono veloci nella scrittura brillante e lavorata con cura di Calvino (fonte, come sempre, di una piacevolezza quasi fisica) risultando adatte a lettori di qualsiasi età, dal bambino affascinato dal lato favolistico all’adulto alla ricerca di un rilassante viaggio della fantasia. Qualche critica da incontentabili, volendo, si può anche abbozzare: è vero che il romanzo è di mirabile concisione, ma a rimetterci sono soprattutto il personaggio principale e, ancor di più, Gurdulù che, dopo una pirotecnica entrata in scena, sembra non realizzare in pieno le sue possibilità. Lo stesso capita ad Agilulfo, delle cui gesta si vorrebbe essere informati in maggior misura - il paladino è pur sempre uno capace di camminare sul fondo del mare fino in Marocco e di soddisfare una donna senza sfiorarla! - e, invece, d’ogni tanto finisce fuori scena per molte pagine a favore di episodi – in special modo quello di Curvaldia – che si prendono uno spazio eccessivo. Si tratta, in ogni caso, di considerazioni marginali che poco incidono sul giudizio complessivo di questo libretto davvero incantevole.