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Il male che diventa normalità
Un uomo brillante mi disse, qualche tempo fa, che ci sono diversi modi per imparare la storia. Il più ovvio di tutti è procurarsi un buon manuale e memorizzare date su date, nomi impronunciabili di generali e posti lontani. Un lavoro non sempre piacevole, ma utile e necessario. Ma i romanzi, mi disse, hanno un potere straordinario. Ti restituiscono la stessa disperazione, o gioia o confusione che l’umanità ha provato in quel determinato periodo. Per un attimo ci sentiamo simili a loro. Siamo loro. E’ questo il potere della letteratura. A quell’uomo brillante vorrei dire, dopo aver letto La Ciociara di Alberto Moravia, che ho capito cosa voleva dire. Lo scrittore romano ci consegna, con la sua consueta durezza un aspro dipinto della seconda guerra mondiale, filtrata attraverso gli occhi di una semplice contadina del Lazio, Cesira, trasferitasi a Roma dopo il matrimonio. La donna e sua figlia, come quasi tutto il popolo italiano, ignorano i reali motivi che scatenano la guerra e gli eventi successivi. Affidandosi al suo intuito decide di passare un po’ di tempo in campagna, a casa dei suoi genitori, ma ad attenderla troverà solitudine e devastazione, e passerà molti interminabili mesi nascosta tra le macere, in una valle, con gli altri sfollati. La sua confusione, il suo dolore, la sua logorante attesa, la sua rabbia, i suoi mille punti interrogativi sono gli stessi degli italiani di quegli anni. Italiani che vedono avvicinarsi alle loro porte un mostro pericoloso e violento. Ma non sanno chi è. Non sanno che nome abbia. Non sanno che bandiera porti. La ciociara come gli sfollati, come i contadini spiegano tutto questo con considerazioni inutili e ingenue. Solo il pungente sguardo di Michele, un giovane intellettuale dissidente, ha una visione delle cose più profonda. Ma nessuno, o quasi nessuno lo capisce, per cui spesso tiene le sue riflessioni per se stesso, arrabbiandosi con il mondo. Giorno dopo giorno la protagonista del romanzo assiste alla continua sparizione di persone con cui pochi momenti prima condivideva pasti e chiacchierate. Diventa normale non lavarsi, mangiare cibo raffermo, odiare senza un perché. Sopra i punti interrogativi di queste semplici persone si muovono, come farfalle in una interminabile primavera, i cacciabombardieri, che rompono i loro pasti, fanno tremare le ossa, abituano gli uomini al rombo dell’inferno come se fosse una cosa normale. Per Alberto Moravia guerra significa prima di tutto abituarsi al male. Gli equilibri del mondo non vengono solo sconvolti ma capovolti e il senso della pietà, conservatrice per eccellenza dell’equilibrio sociale, diventa un lontano ricordo. E tutto questo orrore prende vita in un posto bellissimo: le campagne italiane. Lo scrittore si ferma a più riprese a descrivere il bianco candore della neve invernale, l’acqua cristallina dei tanti ruscelli sparsi qua e la, la macchia mediterranea. Ma è una bellezza che in mezzo a quella turpe violenza appare finta, fuori luogo, canzonatoria. Non si è più liberi nemmeno di ammirare il bello. Moravia della guerra ci dice questo. E' una belva che inquina di nero le vene di tutti, italiani, inglesi e tedeschi. Prima di ogni cosa quest’inutile bestia ti cambia per sempre. La ciociara e la dolce figlia Rosetta sono il paradigma di questo avvenuto cambiamento e ci racconta la loro tragica esperienza.
Questo romanzo non può essere spiegato in poche righe perché è dotato di una ricchezza contenutistica particolare. La linea tra buoni e cattivi è labile, e solo fino a un certo punto si sa chi sia la vera vittima del conflitto. La sguardo ammonitore di Moravia colpisce tutti, senza esclusioni: i tedeschi che sembrano essere dotati di una natura animalesca; gli sfollati con la loro ottusa superbia e il loro attaccamento al cibo. l’ignoranza che condanna tutti eccetto Michele.
E' un libro da cui si possono ricavare informazioni dolorose ma vere. A volte nella lettura il romanzo risulta pesante. Ma forse deve essere così, perché si parla di un’esperienza statica, priva di movimento e questa pesantezza rende l’idea dell’attesa sfiancante a cui la protagonista è condannata.
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Pia
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Valentina