Dettagli Recensione
Disarmonico e inconcludente
Attenzione. La recensione contiene spoiler.
Via Stalingrado, a Piombino, è un mondo a parte. Un mondo governato da regole talvolta misteriose, violente, sbagliate. Un mondo in cui le ragazze restano incinte a quindici anni e lasciano gli studi per lavorare come cassiere in un supermercato. Un mondo in cui ragazzi adolescenti già lavorano alla Lucchini, la fabbrica di acciaio che dà un impiego all'intera via Stalingrado, invece di frequentare la scuola, e vivono tutta la settimana con il pensiero del sabato sera, quando si ammasseranno nelle discoteche e nei locali a luci rosse con le menti annebbiate dall'alcool e dalla droga. Un mondo in cui gli operai rubano in fabbrica per arrotondare lo stipendio e quando gli va male si danno alla macchia abbandonando mogli e figli. Un mondo in cui un padre può picchiare la propria figlia perchè non si decide ad ubbidirgli senza che nessuno trovi il coraggio di opporsi e dire basta. Un mondo dominato dagli altoforni e dalle ciminiere che producono l'acciaio e che come giganti silenziosi sorvegliano ogni cosa dall'alto, impassibili.
E' il mondo di Anna e Francesca, le belle di via Stalingrado. La mora e la bionda. Stanno per compiere quattordici anni, nell'estate del 2001, e il mondo è ai loro piedi. Hanno già imparato ad usare come un'arma la loro bellezza appena sbocciata, l'unica cosa che possiedono. Trascorrono le giornate in spiaggia, correndo tra gli ombrelloni, chiamandosi l'un l'altra e giocando con i ragazzi che le toccano ovunque sotto i succinti costumi da bagno, consapevoli di essere seguite da mille sguardi affamati, sognando il momento in cui potranno uscire di sera da sole, guidare il motorino, andare alle feste, come fanno le ragazze grandi, perchè si sa che "la vita comincia a quattordici anni". E sono amiche del cuore. Sono convinte che affronteranno insieme la vita vivace e colorata che sta per iniziare. Ma è proprio quella vita che aspettavano a separarle.
Acciaio ha vinto il Premio Campiello e si è classificato secondo nella competizione per il Premio Strega nel 2010. Se ne parla come di un vero e proprio caso editoriale. Ho iniziato la lettura con grandi aspettative, ma il romanzo, nel complesso, è stato deludente. Mi aspettavo una storia incentrata sulle acciaierie, sulle persone che vi lavorano, sulle problematiche legate a quella vita, dal momento che "acciaio" è anche il titolo del romanzo. Invece la fabbrica resta sullo sfondo, uno sfondo persistente che forse vorrebbe simboleggiare qualcosa, ma il cui significato rimane oscuro.
La narrazione si dipana lungo più fili che però faticano ad intrecciarsi in un unico, armonico ricamo. Anna, Francesca e la loro vicenda sono circondate da altre storie e personaggi che appaiono scollegati tra loro, come i frammenti di un puzzle che il lettore non riesce a mettere in ordine. Per questo motivo, sfugge il senso complessivo dell'opera. Cosa vuole raccontare questo romanzo? La storia di un'amicizia? Un amore "impossibile"? I problemi economici, psicologici, coniugali di un gruppo di famiglie operaie? Forse l'intenzione era raccontare un po' di tutto questo, ma il risultato è disarmonico.
E' vero che un romanzo non deve necessariamente trasmettere chissà quale messaggio, perchè è un genere di intrattenimento, ma da un'opera che ha quasi vinto il Premio Strega mi aspettavo qualcosa di più. E' vero che un libro non deve solo dare risposte, bensì anche suscitare domande, dubbi, riflessioni, ma quale domande pone Acciaio? Non me ne viene in mente nessuna.
I personaggi risultano un po' piatti e stereotipati: le ragazzine belle e sfacciate e quelle bruttine e insicure, giovani che sballano in discoteca il sabato sera, l'operaio che ruba al lavoro, il padre violento, la donna emancipata e la donna "del Sud" ignorante, sottomessa e timorosa. Qualche sfumatura psicologica in più non avrebbe guastato.
Lo stile tende ad essere molto semplice, salvo alcuni punti in cui diventa quasi enigmatico, ma non in senso positivo, perchè l'autrice scrive frasi dal misterioso significato che non si riesce a cogliere neanche riflettendoci su. Una scrittura di questo tipo non trasmette nulla. A volte ricorda molto lo stile di Federico Moccia, soprattutto nella descrizione di questi amori giovanili. Un elemento che mi ha lasciata perplessa è l'utilizzo molto frequente della parola "muso" per indicare il viso di Anna o di Francesca; non capisco il motivo di usare un termine così poco elegante.
Qua e là ci sono varie incongruenze, a cominciare dal fatto che Francesca è coperta di lividi e poi passa molto tempo in spiaggia con il bikini indosso senza che nessuno si accorga di niente. Il comportamento di Elena, una manager in carriera che insegue il fidanzatino del liceo sebbene lui le lanci insulti di ogni tipo; il fatto che mentre parla al cellulare con Alessio e lui viene investito dal caterpillar, lei si spaventi subito a morte e si precipiti sul posto come se già avesse la certezza che è accaduto qualcosa di gravissimo, senza nemmeno essere sfiorata dall'idea che potrebbe semplicemente essere caduta la linea, che il cellulare potrebbe essersi scaricato, o qualcosa di altrettanto banale.
Il finale sembra inconcludente, a cominciare dalla morte di Alessio, che è un evento messo lì senza nessun motivo, senza trasmettere un'idea, un messaggio, senza che abbia semplicemente un significato. L'incidente avviene sul posto di lavoro, ma non c'è alcuna connessione con gli episodi di cronaca che oggi suscitano importanti dibattiti: Alessio muore schiacciato da un caterpillar perchè era fatto di cocaina e si distrae parlando al cellulare con Elena nel bel mezzo dei macchinari in azione, mentre Mattia, che era alla guida, pensava ad Anna e ascoltava musica con le cuffiette, quindi, sinceramente, l'unico pensiero suscitato da questo episodio è: "Ve la siete cercata". Ed è comunque un episodio che non suscita nessuna riflessione, se non che è più saggio non presentarsi drogati a lavorare in fabbrica; ma questo dovrebbe essere scontato, credo. Nell'epilogo, poi, non si fa il minimo cenno alla vicenda. Analogamente, si inserisce quasi a forza, nella storia, la tragedia dell'11 settembre 2001 senza che essa abbia alcun significato o risvolto all'interno della trama.
E sul rapporto tra Anna e Francesca, alla fine, campeggia un'enorme punto interrogativo. Di solito, i personaggi di un romanzo subiscono un'evoluzione, compiono un percorso che li conduce da un punto A ad un punto B. Nell'explicit non si ripresenta la stessa situazione dell'incipit. Qui, invece, si parte dal punto A e non si arriva da nessuna parte, perchè le due protagoniste si ritrovano quasi per caso, all'improvviso decidono di parlarsi di nuovo, come se nulla fosse accaduto, come se l'anno intercorso dal loro litigo fosse svanito, come se Mattia, la morte di Alessio, non avessero alcun significato, e vanno a fare un bagno all'Elba, punto. Ma cosa ne sarà di loro e del loro rapporto resta un mistero e questo lascia un po' di amaro in bocca. E' un finale talmente aperto che al termine della lettura ho avuto la sensazione che dovesse esserci un seguito.
Le storie di molti personaggi vengono abbandonate, interrotte di punto in bianco, senza mai essere state approfondite davvero, come quella di Lisa, Donata, Mattia, Rosa... Su di loro neanche una parola nel finale, che si incentra esclusivamente sulle due protagoniste, senza però dare nemmeno alla vicenda di Anna e Francesca un senso compiuto.
Se Acciaio fosse stato semplicemente la prima opera di una giovane scrittrice esordiente, forse il mio giudizio sarebbe stato più positivo. Ma per essere un romanzo che aspirava al Premio Strega, mi ha deluso. Decisamente, mi aspettavo di più.