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Acquanera di Valentina D’Urbano
“Acquanera” di Valentina D’Urbano è un romanzo sulla solitudine, sull’emarginazione, sull’amore e sulla negazione dell’amore.
Il tema affrontato è tra i più complessi e certamente sarà difficile trovare unanime consenso tra i lettori.
La storie di Elsa, Onda, Fortuna e Luce si intrecciano e si muovono all’ombra del soprannaturale: ognuna di queste donne ha un rapporto personale e distinto con il mondo dei morti con cui si trova a interagire.
Se l’uomo si rifugia talora nella fede religiosa, talora invece in uno spinto ateismo raziocinante, è certamente dovuto al fatto che egli non ha mai saputo dare una risposta convincente al mistero della vita e della morte.
Nella letteratura classica non sono pochi i personaggi che abbiamo visto scendere agli Inferi e parlare con i morti: un esempio è Ulisse che rivede la madre Anticlea, un altro Enea che incontra il padre Anchise; per non parlare di Dante e del suo viaggio nella Commedia, o di Amleto, il principe di Danimarca dell’opera di Shakespeare, che vede il fantasma del padre. Questa esigenza di contatto con i morti, è spiegata proprio dalla necessità dell’uomo di credere ad una vita oltre la vita, al fine di rendere meno dura l’idea stessa della morte.
Nel nostro mondo contemporaneo, tuttavia, coloro i quali rendono note doti soprannaturali, vengono quasi sempre emarginati, perché considerati insani.
E ciò che capita a Onda che vive ai margini della società, in solitudine, in una baracca nel bosco. Sia lei che sua figlia saranno volutamente escluse da una convivenza civile dal resto della comunità di Roccachiara, un piccolo paese di poche anime.
Luce, pur non essendo dotata del dono di medium, ha tuttavia una frequentazione quasi quotidiana dei morti, poiché aiuta il padre nel suo lavoro di becchino.
La morte dunque è uno dei protagonisti di questo romanzo, una morte presente nei vivi, una morte immaginata, vissuta, a volte desiderata.
L’acqua è un elemento fondamentale nel racconto: quanto più essa è chiara tanto più diventa minacciosa, come se la limpidezza potesse identificarsi con la verità.
Dunque la storia di queste donne, schivate e temute, schernite e tuttavia richieste nel momento del bisogno, diventa il simbolo dell’emarginazione in tutti i suoi diversi aspetti: si può essere emarginati socialmente, politicamente, culturalmente ed essere emarginati per il colore della pelle. Le reazioni e le conseguenze sono sempre simili. E allora in un mondo progredito, come quello in cui viviamo, che considera spesso superstizione credere a certe visioni o a certe frequentazioni, ci si deve chiedere se sia indice di reale progresso archiviare certi atteggiamenti o attitudini come frutto dell’ignoranza.
Anche i più scettici, i più evoluti culturalmente avrebbero l’obbligo di affrontare questi problemi, diffondendo l’istruzione, l’unico mezzo idoneo di difesa per ogni individuo. Cionondimeno colmare l’ignoranza non deve voler dire sradicare con arroganza credenze che non si è in grado di sostituire con alcunché di convincente.
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vedo dalla scheda che l'autrice è molto giovane e mi attrae il voto che hai dato allo stile!