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Figli di Lucifero
“Tu, che riempisti di Trabocchetti e di Gin la Strada sulla quale dovevo vagare,non mi avvilupperai con reti di Predestinazione per poi imputare la mia Caduta al Peccato?”
(Omar Khayyam)
Una storia può essere narrata in tanti modi.
La cacciata degli angeli dal Paradiso, per esempio: c’è la Bibbia a raccontare la versione “ufficiale”, e c’è Eden a darne una diversa, dove nessuno è ciò che sembra e nemmeno la tradizionale divisione tra buoni e cattivi è tanto manichea.
Entrambe le varianti finiscono più o meno allo stesso modo, con gli angeli sprofondati “negli inferi, nelle profondità dell’abisso”. E poi?
E poi inizia un viaggio, del Custode del Lume e dei suoi compagni di ventura, nel tentativo di risalire dal buio verso la luce.
“Ad Lucem” – sequel o, per meglio dire, secondo capitolo, di “Eden”, sempre di Alessandro Cortese – è la storia di quel viaggio, attraverso gli occhi di Lucifero e di Lilith, di Eva e del Grande Padre, e di altri personaggi magari secondari ma ugualmente importanti. Una storia che parla di sconfitte, di vinti che si rialzano laceri e insanguinati per tornare a combattere e tornare a cadere in terra, di impeti di passioni spesso violente e distruttive, di caratteri magari superbi e arroganti ma sicuramente vivi. Lucifero, il Custode del Lume, inizia proprio come il primo degli sconfitti: in molti hanno pagato con lui la sua tentata congiura in nome della Libertà, e tutti si sono ritrovati liberi da Eden, con le ali tarpate e le ossa rotte a contendersi le carni dei propri simili pur di restare in vita.
Eppure, ora è proprio Lucifero a offrire a questo popolo improvvisato una speranza di sopravvivenza prima e di rivalsa in seguito, un’assurda speranza quando sono ancora fresche le ferite provocate dall’aver sfidato la potenza di Yahweh.
Quello che solitamente succede, quando un autore ritorna sui propri personaggi, è che si sente aria di rifritto, stantìo, o addirittura prefabbricato. Non è, però, una regola priva di eccezioni, nella filmografia come nella scrittura, e un’eccezione è anche questo romanzo. Si può dire, piuttosto, non che questo sia il seguito di “Eden”, ma che quest’ultimo sia una necessaria base per “Ad Lucem”.
Forse, al di là degli scenari cupi e smisurati, dei dialoghi a tratti barocchi ma evocativi, delle numerose citazioni autoreferenziali – dalle più prevedibili, di dantesca memoria, ad altre gradevolmente inattese – e della trama in sé stessa, ciò che più “prende” nella lettura è il tema della sfida: non tra bene e male, o positivo e negativo, ma tra ciò che sappiamo essere Perfettissimo e l’Imperfezione: Lucifero non è il solito eroe o antieroe che sa sempre cosa fare; è di certo intelligente e calcolatore, ma anche uno sbruffone tutto sommato inesperto, ingenuo, conscio che il fallimento del colpo di mano da lui organizzato non è stato altro che il trionfo di una complessa strategia messa in atto da un avversario ben più navigato, un burattinaio che aveva teso i fili di tutti i congiurati prima ancora che decidessero di iniziare la cospirazione.
Non dunque la potenza e le abilità di Lucifero contano, quanto la sua caparbia volontà di rialzarsi ad ogni caduta, di imparare dai propri errori e compierne di nuovi, “in direzione ostinata e contraria” come è tipico, se non di ogni uomo, dell’umanità nel suo complesso: in questo senso si può dire che siamo tutti, chi più chi meno, figli di Lucifero.