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Il bell'Antonio
Ogni tanto mi piace leggere un classico, questa volta la scelta è caduta su “Il bell’Antonio” di Vitaliano Brancati (dopo aver visto varie volte il film). La vicenda si svolge nell’arco di tempo che va dal 1930 al 1943 e racconta la storia di Antonio Magnano un giovane trentenne che, dopo un periodo vissuto a Roma, ritorna nella sua Catania; lo segue la fama di sciupafemmine alimentata dal fatto di essere bello, con lunghe ciglia, insomma il tipo che piace alle donne. Purtroppo la fama si scoprirà essere usurpata essendo Antonio impotente, nonostante ciò si sposa con la bellissima Barbara Puglisi che però dopo tre anni chiederà l’annullamento del matrimonio alla Sacra Rota.
Il tema centrale del romanzo è l’impotenza sessuale ma il secondario è il racconto di una certa società siciliana, di un modo di vedere la vita di provincia, di un particolare momento storico che è quello del periodo fascista. Tutto il romanzo ruota intorno a quest’angoscia del protagonista, al suo problema e a come viene affrontato dal contesto che lo circonda a cominciare dal rozzo padre Alfio, tipico “maschio” siciliano. L’autore ci mostra la sua Sicilia come terra immutabile dove nulla sembra cambiare, dove i contadini e quelli che perdono le staffe parlano in dialetto, in cui le dicerie, le malignità e gli scandali sono lo sport preferito della comunità. Sono rese molto bene dall’autore anche le dinamiche di partito che c’erano in quel periodo, l’aspettativa di diventare podestà o federale; nelle descrizioni, come nei lunghi monologhi dello zio Ermenegildo, si intravede in Brancati la disillusione che ebbe nei confronti del fascismo e l’acredine che dimostra è solo a volte smorzata dall’ironia ma anche una visione anticlericale abbastanza netta.
A me comunque questo libro non è piaciuto molto. Innanzi tutto l’ho trovato troppo claustrofobico, con un protagonista spento, passivo, immaturo; il problema dell’impotenza è troppo incombente nel romanzo, ruota tutto lì intorno. Davanti ai suoi occhi spenti Antonio lascia scorrere la vita, gli avvenimenti, la guerra, la morte del padre, il suicidio dello zio, non partecipa, si piange addosso. Poi, dopo pagine lunghe di dialoghi monologhi e soliloqui, c’è un salto temporale di ben quattro anni e nell’ultimo capitolo si risolve tutto (sempre senza barlume di speranza)secondo me in modo troppo affrettato. Ma l’ultimo capitolo c’è quello che per me riscatta tutto nella figura del cugino Edoardo, il solo che finalmente in poche righe dice quel che io pensavo dall’inizio e infatti va in scena l’unico litigio con protagonista l’abulico Antonio.
Tutto sommato è un libro da leggere sempre che si riesca a venire a patti col cambiamento epocale che ha avuto il nostro modo di pensare, la nostra società (anche quella siciliana senza stereotipi) ma soprattutto il nostro approccio nei confronti di certe disfunzioni.