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Un personaggio alternativo
Pietro e Astrid, come già i protagonisti di “Due di due”, hanno scelto di abitare nelle colline marchigiane e svolgono un’attività ecologica e alternativa: tessono stoffe al telaio, un lavoro artigianale che però talvolta deve fare i conti con gli impegni di consegna. In un paesaggio idilliaco, curano l’orto e frequentano il vicinato, se così si può chiamare la gente che vive in proprietà comunque distanziate sulle colline dell’urbinate.
All’improvviso giunge lì Durante, un uomo vagabondo che vive al di fuori di ogni convenzione e che spiazza il prossimo: non pratica regole convenzionali, possiede una schiettezza primordiale, ha un rapporto privilegiato con i cavalli, ha lo sguardo profondo e… fa breccia nel cuore delle donne, soprattutto perché è istintivo e le sa ascoltare. La sua presenza diviene destabilizzante e le dicerie sul suo conto sono alimentate dalla diffidenza e dalla malevolenza umana: sarà un delinquente o un truffatore?
Gli uomini sono sempre più turbati da un profilo non riconducibile a uno schema; e Pietro è sempre più indispettito dalla frequentazione di Astrid e Durante (“Avrei voluto gridare che era tutta una storia insensata, fondata sulla messa in scena di Durante e sul loro bisogno di credere in qualcosa di più suggestivo di una semplice catena di reazioni chimiche…”). Poi, lo stesso Pietro ha modo di conoscere l’intruso durante un viaggio per l’Italia e, con lui, percorrerà un travagliato itinerario verso la consapevolezza e la libertà.
Ritroviamo in questo romanzo molti temi cari a De Carlo.
Innanzitutto l’ambientazione in un ideale vagheggiato di ritorno a forme elementari e artigianali di vita: come disse l’autore in un intervista “Le Marche mi piacciono perché sono molto meno conosciute di altri posti, come la Toscana, la Liguria o anche l'Umbria. Sono anche più difficili da raggiungere, meno vicine alle rotte tradizionali. Mi capita spesso di scoprire gente che non sa dove sia Urbino, o che pensa che Pesaro sia in Romagna, o Ascoli in Abruzzo. E mi piace lo spirito schivo ma non chiuso dei marchigiani: bisogna conoscerli per entrare in comunicazione. Lo stesso vale per i luoghi, che non sono quelli "facili" e "ideali" del Chianti. Volevo rappresentare un posto più vero e faticoso, che mi corrisponde molto."
Poi il tema del viaggio, tanto caro alla beat generation.
E quello dell’insoddisfazione umana nel conflitto tra l’esigenza di tranquillità, la voglia di stabilità e il desiderio della libertà. In un autore che ha questa convinzione: “Un lettore contribuisce alla creazione di un romanzo quanto chi l’ha scritto. Se non investe tutta la sua immaginazione, i suoi sentimenti, i suoi ricordi nella lettura, le pagine stampate che ha davanti restano inerti, senza senso... Spero che ognuno abbia voglia di costruirsi la propria storia, unica e diversa da quella di chiunque altro. Del resto, leggere è una delle poche esperienze davvero personali che siano rimaste.” Un autore che partecipa alla campagna di GreenPeace “Scrittori per le foreste”…
Bruno Elpis
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Ciao!
Nella "prima maniera" ritroviamo originalità. E il messaggio primigenio di cui un uomo è portatore sano. :) So che tu, Gracy, mi capisci. ;)
Ho conosciuto De Carlo con "Due di due" e "Arcodamore": impossibile non amarlo! L'ho seguito sempre, ho adorato "Di noi tre", ma mi sono imbattuta anche in delusioni colossali che proprio non mi aspettavo. Non so cosa gli prenda, ma a momenti parte con derive sperimentali che lasciano a dir poco interdetti ("Uto"), o si lascia andare ad intenti pedagogico-filosofici noiosi e pasticciati ("Pura vita"). Degli ultimi anni salvo appena "Mare delle verità" e l'ultimo che ho letto "Leielui", che pur attraverso l'espediente letterario del doppio racconto da parte dei due protagonisti, torna in un solco narrativo più usuale, permettendo al lettore di assaporarne la gradevolezza .
De Carlo seduce quando non si discosta dalla grande tradizione narrativa italiana, ma ha anche bisogno di rinnovarsi. Credo che i temi con cui si è fatto conoscere siano stati ormai ampiamente sviluppati, insistere nel riproporli mi sembra un atto di immaturità che lo caratterizza negativamente dal punto di vista umano, prima che letterario (i suoi detrattori non aspettano altro!). Comunque non ho letto “Villa Metaphora”, quindi il giudizio è sospeso!
Oddio quanto parlo! Scusa se mi sono dilungata invadendo questo spazio, ma quando un autore mi coinvolge e suscita in me reazioni così contrastanti, poi non mi regolo! Ciao. Domitilla.
Ho trovato il tuo intervento molto documentato e pertinente, anche se io (l'avrai capito) sono un nostalgico (sebbene la nostalgia implichi l'aver vissuto e io - grazie a Dio - negli anni sessanta ero troppo piccolo!) della beat generation e dell'epoca hippy e anche se non concordo pienamente sui giudizi che hai espresso per "Uto" e "Pura vita".
Io trovo irresistibile lo stile di De Carlo: quel suo essere tra le nuvole, sospeso tra idealismo ed ecologismo, anche adesso che non è più di moda. Ma forse, in tutto questo, sono rimasto condizionato dagli sperimentalismi narrativi e stilistici del primo, indimenticabile "Treno di panna".
Ciao Domitilla, è molto bello essere criticati da te (ma ti ricordi quando mi hai accusato di intellettualismo?) ed è amabile parlarti :-)
2) Accipicchia! Non pensavo che te la saresti presa! Non ti ho affatto accusato di intellettualismo, semplicemente mi sembrava che tu, in quel periodo, ti stessi divertendo con alcuni piacevoli giochi letterari, privandoci, in parte, dei tuoi bellissimi e sensibili commenti. Detto questo puoi sempre tornare ai tuoi divertissement... pazienteremo! Domitilla.
Tornando a De Carlo, la tua analisi dell'evoluzione dei suoi romanzi è molto interessante, ma attribuisce allo scrittore una premeditazione che - forse ingenuamente - io credo non gli appartenga. Chissà!
Un caro saluto, con rinnovata simpatia
Bruno
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