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ADDA PASSA' A NUTTATA
Siamo a Napoli, nel secondo dopoguerra, all’epoca di Achille Lauro, degli strùmmoli e delle palate. In un quartiere di periferia, lontano da via Caracciolo, dalla riviera di Chiaia, dal mare e dal Vesuvio, le palazzine traboccano di falegnami, scarpari, verdurai e angosce quotidiane. Ma nell’aria appiccicosa e soffocante delle violenze familiari e della povertà, si accendono due scintille di nome Elena e Raffaella.
Elena ci racconta la sua infanzia e l’affacciarsi all’adolescenza, così come un adulto ripercorre oggi il suo passato, cercando di dare un senso alle proprie azioni e ai propri pensieri. Ci parla di Raffaella, da lei chiamata Lila, sua coetanea, tanto amata quanto odiata, compagna di classe e amica. Pur nella medesima condizione di figlie, nate in un’epoca in cui il proprio destino di donne è quello di piegarsi ai soli ruoli di moglie e di madre, la vita di Elena e quella di Lila seguiranno due percorsi molto diversi tra loro.
Senza mai capirsi, senza mai realmente confrontarsi, senza mai davvero confidarsi, come se l’acquiescenza delle donne di quel periodo avesse contagiato anche il loro rapporto, vivranno invidiando l’una la realtà dell’altra, senza mai afferrare completamente il senso del loro futuro.
Per descrivere lo stile della Ferrante, prendo a prestito alcune sue parole: “sapeva parlare attraverso la scrittura…non lasciava traccia di innaturalezza, non si sentiva l’artificio della parola scritta. Leggevo e intanto vedevo, sentivo lei”.
Questa è Elena Ferrante, un’autrice che non conoscevo e che ho scoperto proprio qui.
Il meraviglioso contrasto tra queste due scintille, che nel nero fumo della violenza si interrogano sul passato e sul futuro per modificare il presente, che vogliono andare oltre il confine del rione e oltre i condizionamenti dettati dalle tradizioni, fa finalmente respirare la città più bella del mondo.
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