Dettagli Recensione
La chimera
È un romanzo che ha il ritmo circolare delle stagioni e delle epoche, è una storia dal ritmo lento ed avvolgente che con dolcezza strappa il lettore dal contemporaneo per condurlo alla nebbia novarese della risaie, caligine che ora con dolcezza si posa sulla terra a coprire i crimini dell’umanità, ora invece scompare, trafitta dalla luce della ricerca storica, a svelare eventi che la storia tradizionale tace. È una macchina del tempo articolata in descrizioni, lunghi ed eleganti resoconti tratteggiati da una penna di straordinaria raffinatezza. Una discesa nel passato che ha le fattezze sfumate di un sogno, ma la cruda brutalità dell’essere umano, un dolce sonno cui segue un brusco risveglio. E come se non bastasse l’autore accompagna per mano il lettore, a smuoverlo dal torpore narrativo per costringerlo al confronto con l’oggi; ed ecco che cambiano i nomi, ma la sostanza, l’uomo, rimane il medesimo, con le sue paure, col suo amore, con la sua corruzione, a crear un ponte tra secoli che, ammiccando a Manzoni, ripercuote tutto il suo disincanto in una contemporaneità nichilista cui ci si arrende. Ed ecco che uscendo dal rumore del moderno, vestigia antiche e riflessi ancestrali, assurgono a paragone col presente.
La trama di per sé è banale: una giovane del ‘600, Antonia, accusata di stregoneria, va incontro ad un processo. Niente di più celebre, niente di più paradigmatico. Tuttavia la discesa verso la condanna è scandita da incontri con personaggi variopinti, bigotti, sentimentalisti, audaci, innocenti, vittime e carnefici che anzi dominano tutta la prima metà del testo. In questo dipinto sfumato, dai tratti inconsistenti, eppure chiarissimi, come un sogno, come una chimera, rivivono le colpe mai espiate di un’umanità costretta a fare i conti con se stessa: le grida inutili di manzoniana memoria, la ricerca esasperata di un capro espiatorio all’irrazionale, l’esclusione, la mentalità bigotta, la corruzione clericale si rivelano baluardi insuperati e nemici di una società in disfacimento. Non c’è speranza, non c’è Dio, anzi, se proprio il libro può apparire monotono è per un ateismo sotteso, eppure così palese, su cui continuamente Vassalli ribatte in una critica feroce per contrasto: alla pacatezza dei toni, corrisponde l’umorismo sarcastico di preti grotteschi.
È, in questo senso, una visione della Chiesa a senso unico: Vassalli, nel tentativo di criticare parte della cristianità, cade nell’errore (se così si può dire) di demonizzarla. Non è questione di credere o no credere, non è questione di fede, è costatazione del messaggio del libro, nemmeno così celato. E in quest’ottica che Vassalli sembra perdere di obiettività storica, anche se è innegabile che il fanatismo della Chiesa è un elemento costante nella storia, magari eccessivamente cristallizzato nella dimensione di aspetto dominante.
Al di là però delle varie interpretazioni, e dei dissidi che possono sorgere, è innegabilmente un romanzo di grande valore, eccessivamente descrittivo (per il sottoscritto), ma stilisticamente fluido e leggero: le lunghe descrizioni non annaspano, ma rispondono ad un respiro placido e misurato che, anche quando la trama s’infittisce, rimane sostanzialmente inalterato. Certo è che il fascino di un mondo lontano, distanza/vicinanza che la lentezza e puntigliosità della prosa non manca di far notare, conserva intatto tutto il fascino di Antonia, strega di Zardino, nella consapevolezza (almeno di Vassalli) che tutto l’Universo è mosso non da Dio, ma da un’energia invisibile che, pure intellegibile, non risparmia il saggio. È in questo pessimismo di fondo che la vicenda prende forma, nel pieno fascino del mistero dell’amore e della sofferenza, insomma, della vita, nel segno di una ricostruzione storica finissima cui sottende un altrettanto mirabile sforzo creativo: là dove lo storico lascia spazio allo scrittore, la fantasia non primeggia e anzi sembra assecondare il ritmo realistico della storia.
In definitiva un testo ambiguo, debole nella trama, chiaro nei contenuti, descrittivo ma mai pedante, di piacevole lettura, avvinghiate. Quasi un qualcosa di dolce e pastoso che, dopo essere stato inghiottito, latita a lungo nell’esofago senza colmare però lo stomaco che, suo malgrado, pur riconoscendone l’elegante bontà, reclama piaceri più immediati.
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Commenti
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l'ho letto vent'anni fa e più ed è un libro che ricordo con soddisfazione.
Concordo con te sulle lunge descrizione a volte pesanti, se pur di stile impeccabile.
Bravissimo!
@CUB: non ti resta che leggerlo...
@Paola: è una cosa che in molti abbiamo notato.
Ho iniziato a conoscere Vassalli con questo romanzo e sto proseguendo la sua conoscenza...
io lo trovo un autore molto interessante!
mi piace il suo stile di scrittura e le immagini del passato che trasmette al lettore..
E' un romanzo stilisticamente raffinato, il problema è che io non amo le descrizioni, preferisco i dialoghi, o le riflessioni, quindi mi sono trovato di fronte un baluardo di dettagli insuperabile; riconosco però la grandezza del romanzo, che merita sicuramente di essere letto.
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Complimenti, Daniele.