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L’amica geniale di Elena Ferrante
L’amica geniale di Elena Ferrante non è solo la storia di un’amicizia tra due bambine, Lila e Lenù, che si protrae negli anni dell’adolescenza, fino alle soglie dell’età adulta, è molto di più. Attraverso la vita di queste due ragazzine che nascono e crescono in uno dei quartieri degradati della Napoli degli anni 50, veniamo a contatto con realtà drammatiche e diventiamo testimoni di come la lotta per la sopravvivenza possa spesso farsi dura e persino spietata.
Lila e Lenù sono molto diverse sia nell’aspetto fisico che nelle qualità morali. Entrambe però sono dotate di una volontà ferrea che le spinge a inseguire i loro sogni, nonostante le difficoltà quotidiane da affrontare. Ed è proprio il sogno, il diritto di ogni individuo a perseverare nella speranza, il punto centrale del romanzo. Il sogno, la meta ambita, è la ricchezza, che Lila e Lenù pensano in un primo momento di raggiungere con lo studio e l’istruzione, diventando grandi scrittrici di successo. Ma anche il diritto allo studio, quasi ignorato negli anni cinquanta, si scontra con le difficoltà finanziarie e economiche delle famiglie a cui le giovani appartengono, per cui l’acquisto di libri non costituisce certo una priorità.
Le strade delle due ragazzine cominciano così ben presto a prendere direzioni diverse: Lenù persiste nello studio, superando l’ostilità iniziale della madre, mentre Lila, pur essendo dotata di grande intelligenza e intuito abbandona l’istruzione ufficiale e prosegue quasi di nascosto con la lettura e lo studio del latino e del greco.
La rivalità istintiva tra le due giovani mette in risalto da un lato la generosità innata di Lenù frenata a tratti da un istinto spontaneo di gelosia e di invidia e dall’altro la “cattiveria” e il cinismo volutamente esagerati di Lila.
Il primo sogno infranto è dunque quello di raggiungere la ricchezza attraverso l’istruzione: un’amara realtà, ancora più difficile da accettare se si considera lo studio anche un possibile mezzo di riscatto sociale.
L’integrità morale delle due protagoniste, tuttavia, le salva dall’essere preda della gioventù camorrista del quartiere, anche se le macchine di lusso, i bei vestiti e la vita facile esercitano un fascino indiscutibile.
La difficile vita quotidiana si tinge spesso dei colori foschi della violenza che minaccia di travolgere buoni e cattivi. Spesso anche coloro che sono animati da buone e oneste intenzioni si incattiviscono, fino al punto da assumere connotati diversi e assai più inquietanti. È questo il caso di Rino, il fratello di Lila, in perenne contrasto col padre.
La forza delle passioni represse e delle ambizioni deluse sembra trovare uno sbocco significativo nella notte di Capodanno, quando i “botti” lungi dall’essere un’esplosione di gioia e di saluto al nuovo anno diventano una gara violenta tra individui tesi a dimostrare unicamente la propria superiorità, fino al punto da sparare colpi di pistola, esauriti i fuochi di artificio.
Lo scoppio, come manifestazione acustica di sentimenti che esplodono, torna nella lettera di Lila a Lenù, quando accenna alla pentola di rame “scoppiata”, i cui bordi si erano deformati: una pentola che assume dimensione umana. Qui è l’uomo, l’individuo, che nella sua incapacità di contenere la rabbia e il rancore, muta d’aspetto e di carattere. Questa descrizione, che torna più volte nel corso del romanzo, diviene, a mio avviso, la metafora della vita come viene vissuta negli ambienti più poveri e degradati di questa città, che è la sintesi e il trionfo delle contrapposizioni sociali più evidenti dei nostri tempi.
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Leggerò questo libro. Grazie
Raffaella
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