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Una spy story italiana
Scarpette bianche, il nuovo romanzo di Arturo Bernava, è sostanzialmente una spy story italiana, ma giocata nell’ambito di un grande conflitto (la seconda guerra mondiale) e circoscritta per buona parte delle pagine alla realtà di un piccolo paese, prossimo a Chieti, città che fa da palcoscenico nell’ultima parte dell’opera. La tensione c’è, c’è pure un morto ammazzato, una vecchina dall’apparenza innocente, ma odiata da molti per i suoi sporchi intrallazzi. Poi ci sono un prete molisano, dalle mani grosse come pale, un maresciallo dei carabinieri, esautorato di fatto dagli occupanti tedeschi e che desidera onorare la sua divisa, due medici, uomo e donna, che dapprima si guarderanno in cagnesco e poi finiranno con lo stimarsi e anche più…; figurano inoltre un capitano delle SS, freddo, glaciale, colto, amante dell’Italia, ma non degli italiani, un bambino orfano, all’apparenza schizofrenico, un gerarchetto fascista invaghitosi di una giovane vedova illibata, pronto a condurla all’altare - ma il matrimonio non si farà, perché non si può fare -, una bambina che ama la nonna paterna e che la cura con la massima dedizione e c’è questa nonna, dal comportamento enigmatico, che alterna momenti di lucidità a lunghi periodi di assenza.
Ci sono poi le scarpette bianche, che appaiono sporadicamente, pur dando il titolo all’intera opera, ma che sono importantissime, come chi, leggendo, capirà.
E infine (siamo nel periodo dal luglio 1943 al giugno 1944) ci sono tanti che cercano dei documenti importantissimi, spariti durante la fuga del re dopo l’8 settembre. Si tratta del famoso carteggio Churchill – Mussolini, di primaria importanza per tutti i paesi in conflitto.
A prima vista sembrerebbe uno di quei romanzi oggi in voga, fatto di inseguimenti, di tranelli, di sparatorie, ma non è cosi, anzi la vicenda della ricerca di questi documenti, pur non secondaria, fa da filo conduttore alla storia di un paese martoriato dalla guerra, all’insensatezza di uomini privi della benché minima pietà, ai ritratti puntuali e vivi di personaggi che a loro modo, e senza saperlo, sono degli eroi; non manca poi l’amore, un’antica molla che fra tante rovine permette di risorgere, di ritrovare una speranza di vita che l’abbrutimento quotidiano aveva sepolto.
E sta in ciò l’autentico valore dell’opera, sta anche nelle contrapposizioni di figure, nelle descrizioni, assai efficaci, di tanta povera gente in fuga dalla guerra. Poi c’è anche la tensione della vicenda spionistica che prende corpo dapprima lentamente e poi quasi esplode nelle ultime pagine.
Bernava riesce a manovrare con perizia i non pochi personaggi, a farli incrociare, narrando talora con ironia, a volte con malinconica pietà, in un italiano sempre corretto e assai scorrevole.
Credetemi, questo libro non attrae solo per la bella copertina, un riuscitissimo fotomontaggio di Vincenzo Bosica, ma per l’equilibrio generale, il ritmo costante senza cadute, per la simpatia di alcuni protagonisti e l’antipatia di altri, per una vicenda tinta di giallo che avvince e che si risolve con un finale logico e convincente.
Di conseguenza, la lettura è più che raccomandabile.