Dettagli Recensione
UNA MATRIOSKA DI STANZE VUOTE
Mi è difficile recensire questo libro, non posso snaturare il mio commento da ciò che sono, da ciò che penso, da ciò che credo.
Quello che traspare dalle righe che scrive la Di Grado, è diametralmente opposto da ciò che sono le mie convinzioni e la realtà che vivo.
Cuore cavo affronta un tema veramente tragico, il suicidio. Chiunque di noi è in grado di ipotizzare differenti scenari di vita che possono portare una persona a compiere un atto così definitivo, così irrimediabilmente violento, così doloroso, ed è quello che pone in essere l’autrice stessa.
Abbiamo una giovane donna, Dorotea,cresciuta senza un padre che l’ha abbandonata all’età di tre anni:
“Non volevo crescere. Volevo rimanere bambina, per quando un giorno mio padre sarebbe tornato. Non volevo che quel giorno, aprendo la porta, non mi riconoscesse….. Meglio morire che diventare un’altra.”
Cresce nello squallore, con una madre che l’ha messa al mondo irresponsabilmente, che la reputa causa di tutti i propri “mali”, ed una zia, Clara. che si trasferisce nella loro casa ogni volta la situazione rasenta la tragedia…:
“Crescevo, ma avevo capito il meccanismo segreto del dolore. Avevo capito che il dolore è una matrioska: non finisce, si nasconde solo dentro nuovi dolori e ogni nuovo dolore li contiene tutti.”
Nulla di particolarmente nuovo o diverso dunque , come tipo di vicenda raccontata, anzi, il clichè della povera giovane che cresce con figure di riferimento del tutto assenti o disfunzionali, che porta con sé un epilogo tragico è un tema che viene affrontato in innumerevoli libri.
La cosa che merita attenzione quindi,è lo stile di scrittura, originale, unico nel suo genere, ed è il punto di forza del libro.
Non mi ha entusiasmata particolarmente nemmeno la descrizione minuziosa dei vari stadi di decomposizione che attraversano il corpo.
A dire il vero il messaggio che la Di Grado ha voluto trasmettere, riguarda le considerazioni personali su vita e morte. L’autrice afferma in un’ intervista, di aver voluto abbattere le barriere tra la vita e la morte, considerato un noioso tabù occidentale, e di voler pensare alla morte come un fenomeno geologico universale, il corpo perde i suoi confini e “l’anima” si sparge nella vita.
“Tra poco finirà Dorotea Giglio, ma non cambiate canale, i suoi atomi torneranno presto in circolo in un nuovo essere umano! Non hai idea di quanto è cinico l’universo.”
E ancora:
“ Non sei più di nessuno, pesino il tuo corpo ti ha abbandonato. Bisogna accettare di essere soli e abbandonati a sé stessi. Di non essere più nulla e di non capire un cazzo delle cose perché la vita non ha più bisogno di essere capita da noi.”
Nella frase appena citata è contenuta forse, l’unica esclamazione volgare del libro, questo, a mio avviso, è un segnale di quanto l’argomento vita-morte così come lo intende, stia a cuore all’autrice.
La Dorotea morta vaga nel quotidiano grottescamente, elemosinando ancora l’amore che le è mancato in vita, quindi si chiede il perché la madre non riesca a sentirla e percepirne la presenza, si innamora di Alberto, si insinua nel suo quotidiano, al punto da fare veri e propri “numeri da fantasma”…. Mah!
L’aspetto spirituale se pur così fortemente rifiutato, è presente nel libro, con citazioni bibliche sparse qua e là e frasi che rasentano la blasfemia:
“Le arterie ormai non tengono più il segreto: prendete e bevetene tutti, questa pioggia e questi laghi e questi fiumi sono il mio sangue.” (di Dorotea)
“…a Pasqua facciamo il gioco di inchiodarci mani e piedi al muro, per ridere di quanto non faccia male. Ci raccontiamo i peccati per scoprire quanto inutile sia la colpa, e ancor più il perdono.”
E a questo punto percepisco una caduta di stile dell’autrice, le proprie opinioni non hanno bisogno di calpestare altri credo per essere forti.
La forza del propri pensieri ed idee deriva in ogni caso, dal rispetto di idee e pensieri diversi dai nostri.
Che morale trasmette questo libro? Me lo sono chiesta al termine della lettura e lo chiedo a voi, in quanto a me come storia non ha lasciato nulla.
La Di Grado potrebbe usare il dono che indubbiamente ha della scrittura, per produrre qualcosa di meglio.
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Commenti
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Brava!
“…a Pasqua facciamo il gioco di inchiodarci mani e piedi al muro, per ridere di quanto non faccia male. Ci raccontiamo i peccati per scoprire quanto inutile sia la colpa, e ancor più il perdono.”..
credo che non si può sentire...letta così :P
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