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Uno sguardo crudo e realistico sulla malattia di u
Il romanzo di Cardaci rappresenta uno sguardo crudo e realistico, in chiave autobiografica, sulla malattia oncologica che ha colpito un ragazzo ventenne, costretto a rimettere in discussione tutti i progetti della propria vita, del proprio futuro. È il punto di vista di un ragazzo che entra in un grande ospedale, visto come una prigione, dove l'ora d'aria è sublimata nella passeggiata nel giardino esterno con la fontana o nella fuga notturna ai distributori automatici di snack e bevande, che rappresentano uno dei pochi piaceri trasgressivi concessi al "prigioniero". Gigetto, così come viene soprannominato da Filippo, il protagonista del romanzo, è la causa della sua "carcerazione" forzata, è l'"alieno" che cresce impietosamente nel suo giovane corpo, ricordando lo stesso alieno che descrive Oriana Fallaci nei suoi ultimi scritti. Si scorge anche uno sguardo inclemente sulla figura del medico, descritto tra le pagine del libro come un tecnico, uno scienziato ultra-specializzato nella cura di una malattia o di un organo, più che nella cura di un malato in carne-ossa-pensieri e sogni. Il protagonista, nelle pagine del romanzo, fa una richiesta chiara, urlata a bassa voce, a chi per professione è in contatto tutti i giorni con i pazienti oncologici, soprattutto giovanissimi, di recuperare una certa umanità, di rimettere al centro il malato, le sue paure, le sue angosce per il futuro, di mettersi in posizione di ascolto, di farsi portatori di una medicina più umana e olistica, contrapposta a una medicina fatta puramente di tecnicalità e ultraspecializzazioni.