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"Questi se credono de spostà 'e montagne"
La letteratura italiana batte un colpo: “Ci sono”. Dapprima si palesa con un rumore confuso e poco convinto. Poi questo segnale sembra stabilizzarsi in un grido sordo che fa esplodere il nostro tempo, quello che viviamo e che non siamo sicuri di voler vedere realmente. Ma non c’è scelta, resistere non serve a niente. Si prosegue. E Siti ci scaraventa senza troppi riguardi nel circo crudo e triviale che è il nostro piccolo paese, questa nostra provincia di mondo collegata all’insieme dei micro e dei macro universi che sono gli ingranaggi del vivere odierno.
Sono due gli strumenti con cui Walter Siti tenta di narrare una contemporaneità complessa e internazionalizzata all’estremo. Un narratore onnisciente particolarmente renitente all’esserlo fino in fondo e un broker dell’alta finanza che opera all’interno di una sfumatura, porzione di un gradiente politico/economico in cui legalità e illegalità hanno imparato a confondersi abilmente travalicando un confine troppo logoro e ormai inservibile. Siti, in prima persona racconta di questo personaggio, Tommaso. Racconta della nascita di un rapporto di amicizia che inizia a legarli, a dispetto di punti di vista e stili di vita in diametrale differenza. Racconta di un evolversi di questo rapporto fino al giungere di un accordo che legherà inevitabilmente lui e il suo futuro personaggio. E quando l’autore si trova davanti alla generosità disinteressata di Tommaso Aricò, che con un microscopico pezzetto del proprio patrimonio compra l’appartamento romano di Siti per scongiurare uno sfratto, si rende necessaria la stipula di un patto. L’atto espiatorio con cui Walter Siti si sdebita non è altro se non questo libro, la storia di Tommaso che il medesimo chiede per sé, per vederla e sentirla raccontata.
Da questo momento in poi, con solo qualche breve intermezzo che ci fa ritornare ad un tempo presente, seguiamo l’avvicendarsi di Tommaso Aricò. Non quello che conosce lo scrittore, il trentacinquenne alto e dal fisico malfatto che usa un vocabolario di tecnicismi economici e che dispone di un reddito milionario. Ma un bambino con gravissimi problemi di obesità, che trascina la propria mole adiposa e i propri sentimenti soffocati per le strade di Rebibbia. L’infanzia complicata di Tommaso, “’sto regazzino che nun magna, s’abboffa”, è una piccola odissea personale dove l’unica Itaca da raggiungere non è un luogo fisico, è un’astrazione fondamentale: la coscienza delle proprie possibilità. E Tommaso non impiega meno tempo di Ulisse nel trovarla. Perché nel frattempo, ad ostacolare un percorso già complicato in partenza, si aggiungono le vicissitudini di un padre, assassino per costrizione, più colpevole di ignoranza che di omicidio, che viene condannato a quindici anni di carcere e che lo lascerà alla propria odiosa esistenza in compagnia della madre. Una madre, Irene, giovane, forte, concreta, rassegnata a combattere con le unghie pur di garantire un piccolo pezzetto di speranza a quel figlio che si ingozza di budino Elah pur di non sentire quanto sia amaro il tempo che ha di fronte. Ed è proprio Irene, con la sua commovente “saggezza popolare” e la sua romanesca ragion d’essere, che capisce le potenzialità di Tommaso, particolarmente versato nella matematica, e lo aiuta a cambiare la propria vita. "Ja'a faremo, ranocchié". E infatti, in pochi anni, da ragazzino grasso e annoiato, Tommaso diventa un liceale che vede nella matematica e nello studio un avvenire meno brutto, che vede nel proprio corpo magro e sgraziato, dopo un’operazione di bypass gastrico, un nuovo inizio.
Questo inizio lo porta ad una cariera sorprendentemente veloce, prima in banca poi in società di brokeraggio. E’ il migliore nel proprio campo, diventa evoluzionista, trapezista spericolato delle speculazioni finanziarie. Mette a frutto il proprio istinto innato per gli affari fino ad accumulare un capitale spropositato. Vive nel lusso, frequenta la crème, si può permettere ogni cosa, tranne quello che vuole veramente. Un piccolo soffio di amore. Poterlo appena sfiorare con un dito, poter provare anche per un solo secondo un’intesa, un sentimento condiviso che dia un senso e un fine a una montagna di denaro virtuale.
Tommaso Aricò, come una matrioska di soli due pezzi, è uguale alla sua vita. Entrambi sono entità mascherate. Tommaso ha nascosto il proprio lato fragile dietro il proprio grasso, dietro i pasticcini, dietro la matematica, dietro il lusso. La vita di Tommaso si è nascosta dietro la sua adorazione per Gabriella, modella mantenuta che ama vendere se stessa, il proprio pallore a la propria chioma fulva, dietro una slavina linguistica di lobbyng, money laundering, offshore, volatility smile, fixed leg, buy-back, stock option. Dietro un sentimento troppo genuino, troppo poco farraginoso e d’alto bordo, con Edith.
Un calderone di crudezze, ineluttabili verità contemporanee e dolci remember popolani si intrecciano in questa matassa narrativa. La vita di Tommaso è la grande metafora dei nostri tempi, che viene raccontata da Walter Siti con una piacevole, caustica brillantezza di linguaggio. Uno stile dissacrante e veloce che riesce perfettamente nell’intento di evidenziare i dislivelli sociali e le pacchiane amenità di entrambi. Ma più di tutto quanto, riesce a mettere in mostra un’elite schifosamente oligarchica che impera con cattivo gusto sulle spalle del popolino. Di noi che ancora adottiamo la pratica di contare i soldi che abbiamo in tasca, che tentiamo di non comprare i sentimenti con gli assegni e che tentiamo di dare un senso al nostro agire, tenendo sempre a mente che, anche senza yacht a Porto Cervo, e forse grazie a questa mancanza, un sorriso di serenità riusciremo sempre a concedercelo.
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Commenti
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E se mi e' concesso : sacrosanto finale.
Bravo Maso, io concordo.
hai espresso in maniera egregia ciò che ti ha trasmesso Siti e ciò che reputi volesse trasmettere.
personalmente riconosco il lavoro che è sotteso alla stesura ma nel complesso non mi ha rapito
Complimenti!
Un'opera come questa, di contenuti violenti e pornografici descritti in modo totalmente acritico e amorale, va giudicata solo in termini di stile?
In altri termini, consapevole di passare per bieco bigotto e filocensuratore, quale utilità ha un libro come questo?
Mi scuso per il tono di queste righe, che può portare a pensare che voglia fare polemica, mentre desidero, davvero, sollevare un argomento di confronto (e forse sarebbe meglio utilizzare lo strumento della discussione ... vabbhe, adesso finisco e poi ci pensiamo): scrivere per descrivere, ha senso? Se, per contro, uno autore scrive per comunicare e quello che trasmette è, per contenuto e modalità di comunicazione, moralmente deprecabile, perchè pubblicarlo?
"Un'opera come questa, di contenuti violenti e pornografici descritti in modo totalmente acritico e amorale, va giudicata solo in termini di stile?"
"In altri termini, consapevole di passare per bieco bigotto e filocensuratore, quale utilità ha un libro come questo? " Non solo, ma anche in termini di stile, perché il registro scelto, così neutro, privo di qualsiasi giudizio morale, quasi giornalistico, pone di fronte la realtà, o comunque una realtà e così permette di vederla per come è e dando al lettore la responsabilità di farsi un'opinione, senza regalarne una preconfezionata. L'utilità di questo libro, oltre, come ovvio quella di essere un'ottima prova lettararia è quella di conoscere una realtà ai più sconosciuti e del far provare delle emozioni forti.
"scrivere per descrivere, ha senso?" Per me è la base della letteratura, tutto il resto serve da tessuto connettivo.
"Se, per contro, uno autore scrive per comunicare e quello che trasmette è, per contenuto e modalità di comunicazione, moralmente deprecabile, perchè pubblicarlo?" Questa domanda invece proprio non la capisco, credo di aver frainteso del tutto. Mi sembra di aver capito che tu ti proponi una letteratura che sia moralmente accettabile, ma allora si apre un altro capitolo chi è che decide cosa sia moralmente accettabile? Ciò che oggi lo è ieri non lo era e forse ciò che oggi non lo è domani lo sarà...
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