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Una sconfinata giovinezza
Il titolo di questo libro, che risale a qualche anno fa, è fatto apposta per suscitare attenzione. Dopo averlo visto è inevitabile prenderlo in mano e dare uno sguardo alle prime pagine. La storia si apre con una curiosa telefonata notturna e…a quel punto ero già alla cassa!
E’ un romanzo a più voci, in cui ogni personaggio racconta la propria versione dei fatti e ognuno consegna il testimone all’ altro, in una ideale staffetta attraverso trent’anni di storia di una ricca famiglia della borghesia imprenditoriale italiana. Si procede per salti temporali non sempre lineari, perché i protagonisti hanno fretta di riversare sul lettore i fatti e le emozioni, nella ricerca di un coinvolgimento emotivo che non tarda ad arrivare. Difficile non prendere le parti del protagonista Francesco: spirito libero, inquieto, trasgressivo, ma con un retrogusto di fragilità e dolcezza che lo fa parzialmente uscire dallo stereotipo (è bello, studia filosofia, si oppone alla famiglia, viaggia in cerca di sé, insomma non proprio originale...). Subito dopo, però, si scoprono le ragioni del fratello maggiore Flavio, su cui ricade inevitabilmente tutto il peso delle aspettative familiari (l’azienda, il matrimonio, i figli..). Non può permettersi di dire “io no”, come il giovane Francesco che vaga per il mondo in cerca di una dimensione (presumibilmente con i soldi di papà…); deve tirare la carretta e accontentarsi degli scarti: la bella Laura, abbandonata dal fratello senza spiegazioni, diviene la sua infelice e complicata compagna di vita. La prima parte del romanzo è scorrevole, leggera e non mancano dei passaggi frizzanti e degli episodi davvero esilaranti, come l’arrivo di Francesco al matrimonio di Flavio. Mentre si procede nella lettura, la storia diviene sempre più interessante e originale, grazie alla graduale rivelazione, da parte dell’autore, dei veri rapporti che legano i personaggi e allo svelamento dei percorsi emotivi che li hanno condotti al groviglio di situazioni in cui vengono a trovarsi. Nella seconda parte del libro, però, le pagine si incupiscono e il romanzo prende una inaspettata direzione drammatica, che evolve verso la catarsi finale, forse liberatoria. Personalmente, da un certo punto in poi, ho trovato poco coinvolgente il percorso di vita di Francesco, che partendo dal grido “io no!” attraversa i più scontati sentieri della ricerca di identità, incontrando l’oblio degli stupefacenti, il mito americano, l’illusione di un amore salvifico, che definirei “ultraterreno”, data la perfezione dell’amata Elisa (se l’avesse chiamata Beatrice avrei chiuso il libro!), l’approdo consolatorio alla musica, comunque perseguendo infaticabilmente la fuga da sé, che anche dopo una certa età, lo porta al totale abbandono delle responsabilità e a tradurre la sua ricerca nella consueta dimensione del viaggio (Groenlandia, Cina, India, i deserti africani in cerca di un improbabile santone). Ho trovato molto più credibile e “attuale” il personaggio del fratello Flavio, con la sua adesione alla realtà e mi è piaciuta la giovane e arrabbiata Laura delle ultime pagine, che alla fine mi è sembrata il vero alter ego dell’autore. Non conoscevo Lorenzo Licalzi e ho scoperto che ha esordito non molti anni fa; lo pensavo, quindi, dopo aver letto il libro, poco più che adolescente. La sorpresa è stata la foto di un pacioso cinquantenne, che di mestiere fa lo psicologo (forse, prima di pubblicarlo, ha tenuto il libro nel cassetto per un po’…).
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