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Ecatombe plausibile
Mauro Corona è uno scrittore senza mezzi termini. Non è il tipo che edulcora il proprio linguaggio quando si mette a fare prosa letteraria. Come parla, così scrive, coinvolgendo il lettore nella sua narrazione come se si stesse ad ascoltarlo seduti a un tavolo dopo cena, vicino a un fuoco, con un bicchiere di vino in mano. Le sue storie sono forti, di pancia. La gente si comporta per quello che è, senza fronzoli né affettazioni artefatte.
Corona si porta dentro in ogni riga le sue montagne, la sua vita volutamente semplice, le tradizioni, in costante contrasto con la società frenetica e cittadina che caratterizza il mondo di oggi. Il romanzo nasce proprio come critica spietata della società moderna e ne descrive il tanto sospirato (e ovviamente tragico) crollo.
“La fine del mondo storto”, edito da Mondadori, prende il via con l’avverarsi del peggior incubo del mondo moderno: l’esaurimento improvviso delle risorse energetiche naturali. Niente più petrolio, gas, elettricità. Niente computer, satelliti, televisione. La fine di ogni tecnologia, all’improvviso, all’aprirsi di un inverno che promette di rivelarsi il più crudele della Storia.
Gli uomini muoiono a centinaia, a migliaia. A milioni. Chi rimane, dà fondo alle risorse rimaste fino ad arrivare al cannibalismo. Questo, in città. Nelle campagne e sulle montagne il dramma è meno pronunciato, grazie alle abilità pratiche della gente che ancora vi abita e vi lavora.
Solo i più forti, coloro che si rimboccheranno le maniche e torneranno a imparare a sfruttare la terra e le proprie mani per sopravvivere, riusciranno a impedire l’estinzione del genere umano. Il lavoro di gruppo, il bene comune, deve prevalere su tutto il resto.
Così sarà, finchè non si raggiungerà di nuovo un relativo benessere. Allora, come nella natura dell’Uomo, il circolo vizioso dell’avidità e del conflitto ricomincerà daccapo.
La scelta del tema ha un sicuro intento polemico, nient’affatto smorzato e anzi rimarcato costantemente all’interno della narrazione. Corona trova aberrante il modo in cui la società moderna ha affidato le proprie sorti alla tecnologia e alle risorse deperibili, facendo cadere nel dimenticatoio le conoscenze pratiche cresciute con l’Uomo, conoscenze che gli hanno permesso di sopravvivere nei secoli e prosperare nonostante la sua indole autodistruttiva.
Non si può negare che il nostro sistema scolastico privilegia le materie teoriche, il pensiero astratto e le arti ( per quanto la Cultura sia un bene ben poco preservato in Italia) piuttosto che il lavoro pratico, sia esso agricolo, venatorio o artigianale. Prova ne è che moltissimi mestieri sono scomparsi e altri si affidano a macchinari che condizionano pesantemente le competenze manuali di chi svolge ancora talune attività.
Con la carestia mondiale di energia, Corona distrugge alle fondamenta una società che ormai si regge sulla mente e la costringe a tornare al lavoro delle mani, all’attenzione verso la terra, i cicli delle stagioni, la soddisfazione dei bisogni fondamentali. Ci mette di fronte all’ecatombe da cui dovrà nascere l’Uomo nuovo, se non vorrà estinguersi.
Non sono del tutto d’accordo con l’analisi dell’autore riguardo al comportamento dei sopravvissuti una volta compreso che l’inverno in corso potrebbe essere l’ultimo. La cessazione di ogni violenza, ruberia, individualismo; la coscienza del valore del gruppo, il silenzio e la scomparsa di ogni sentimento che non sia mero istinto…Da un lato, a mio avviso, troppo radicale. Dall’altro, utopistico nel pensare che l’Uomo sia davvero in grado di pensare al bene del gruppo senza la presenza di un leader, di qualcuno che conduca in una qualche direzione coloro che non sanno arrangiarsi e hanno bisogno di essere guidati.
Questa visione bucolica e vagamente “comunista” (con grande profusione di parole sull’annullamento del divario tra ricchi e poveri, anche se in realtà Corona attribuisce difetti indifferentemente a entrambe le parti) appare più una speranza di ravvedimento post-tragedia che qualcosa di veramente plausibile. Le insistenze su certi temi rendono la lettura del racconto per certi versi pesante, nonostante l’indubbia maestria di Corona.
Non al livello di altri suoi scritti, utile per riflettere sui livelli di assurdità a cui la nostra società si è arrampicata, danzando in punta di piedi sull’orlo del baratro.
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