Dettagli Recensione
Oh vita!
Finalista al premio Strega 2013, “Mandami tanta vita” di Paolo Di Paolo è un’opera particolare sia per contenuti sia per stile.
“E’ appena cominciato, questo 1926, senza promettere nulla di buono” e a Torino idealmente s’incrociano due coetanei. Il primo è Moraldo, che lì giunge per sostenere una sessione di esami universitari: è pieno d’incertezze e alla ricerca di un’identità (“Studio lettere, amo la filosofia, so anche disegnare ritratti e caricature …”). Complice uno scambio di valigia (“L’idea che la sconosciuta abbia messo gli occhi sul suo disordine lo agita”), Moraldo vivrà l’amore per Carlotta, fotografa conosciuta per caso, e la seguirà a Parigi.
Il secondo è Piero Gobetti, che da Torino parte per un esilio imposto dal potere fascista.
LA FIGURA DI PIERO GOBETTI
Intellettuale precoce (“A tredici anni, aprire Alfieri era stato come spalancare il cranio a un’invasione di gabbiani, aggressivi, sbruffoni: nei loro gridi acuti leggeva ideali che un giorno avrebbe forse potuto conquistare, nella geometria del volo l’aria immisurabile della libertà”), contrappone la forza delle idee alle coercizioni di un regime che vorrebbe incatenare pensiero e libertà di espressione e di stampa: “Questo è il bello di fare l’editore, il compito grande delle tipografie: fare esistere le parole, le idee”.
Di fronte al giovane esile e occhialuto, il questurino incaricato di una notifica esclama: “Ma questo è solo un ragazzino...” “E porge alla moglie la diffida della Questura di Torino a cessare da qualsiasi attività editoriale”.
A questo evento Piero è preparato: “E’ dalla fine dell’estate che Piero ragiona su Parigi, andare a Parigi come l’unica soluzione per resistere”.
L’esilio però giunge in un momento particolare: la convivente Ada ha appena dato alla luce il figlio (“Lei gli sorride, pallida, spossata, dolce – una vecchissima ragazza appena tornata da luoghi estremi”).
A Parigi. Gobetti pagherà le conseguenze di una violenza subita: “Un anno e mezzo fa, si era ritrovato sotto casa una decina di squadristi, gli avevano chiesto se era lui il signor editore, aveva risposto Sì, sono io, e allora avevano cominciato a scuoterlo, a picchiarlo …”
L’ATMOSFERA DEL CARNEVALE
Soprattutto nelle descrizioni delle atmosfere si rivelano le doti narrative dell’autore. Il periodo – a Torino (“Il nome è Giacometta, la consorte di Gianduia, nel suo abito di velluto rosso”) come a Parigi – è quello del Carnevale: “Il tempaccio dà a questo carnevale l’aria di un sortilegio triste: sembrano maschere anche le facce sorridenti, Moraldo ha l’impressione che, afferrate per un lembo sotto il mento, si potrebbe strapparle via a una a una, lasciando ricomparire la verità quasi funerea di occhi spenti, orbite fonde, bocche simili a tagli sulla carne”.
A Parigi “i bambini in maschera lasciano dietro di loro una scia di coriandoli. Una banda musicale, poco dopo, lascia la sua scia di note”.
“Scolpite contro il cielo trasparente ci sono cinque o sei lacrime rosse che, invece di scendere, salgono. Mongolfiere, come in un romanzo di Verne. Fanno alzare i nasi verso l’alto. L’alleanza di stoffa e gas sfida la forza di gravità e la vince”.
L’INCONTRO AL BOIS DE BOULOGNE
I tentativi che Moraldo compie a Torino per conoscere Gobetti sono vani.
Ciò che la volontà non riesce a perseguire, il caso – a volte – ce lo regala: Moraldo incontra Gobetti su una panchina, e lì “ragiona su quanto siano diverse, da vicino, le persone che abbiamo idealizzato. Le abbiamo astratte dalla realtà sino a farne i nostri feticci, i nostri fantasmi”.
Ma ormai l’editore è “fragile al punto che da un momento all’altro potrebbe svanire, dissolversi, lasciando vuoto e inerte sulla panchina, come un guscio, il cappotto spesso”.
LA MIA VALUTAZIONE
L’opera ha un registro originale, condensato e rarefatto al tempo stesso, che rende il romanzo irrituale e intellettualmente sorprendente.
Dell’originalità stilistica ho già fatto cenno, così l’autore descrive il distacco dopo l’amore: “Si riapre una distanza fra corpi più ordinaria: come si fossero rapidamente smagnetizzati”.
I contenuti sono nobili, perché si parla di idee e della lotta per difenderle dai soprusi, sino a formulare un disperato interrogativo: “Le idee, almeno le idee, ci sopravvivono? Forse anche i sentimenti”.
Bruno Elpis
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Commenti
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Splendida la tua conclusione...E io ti rispondo...si, le idee, i sentimenti, i ricordi...VIVONO!!!...E SOPRAVVIVONO!!!
:)) Pia