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L’acquario della terapia intensiva
Pierluigi Tunesi ha quarantacinque anni, è amministratore di una multinazionale, ha una moglie che lo ama, una figlia adolescente, e fa parte della Milano benestante. Luca Gaboardi ha la stessa età di Pierluigi e una vita personale insoddisfacente: si è separato dalla moglie, non ha figli, esercita la professione medica senza troppo entusiasmo, senza troppi riconoscimenti e con spirito critico nei confronti dell’ipocrisia del mondo ospedaliero.
I destini di questi due uomini si incrociano quando Pierluigi – a seguito di un tumore in fase metastatica e per una complicanza post operatoria – finisce nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale milanese dove Luca lavora come anestesista.
Con il ritmo di un’alternanza narrativa assai serrata, Pierluigi e Luca raccontano la loro storia individuale e la loro vicenda comune da due punti di vista differenti, ma talvolta convergenti.
Molto toccanti sono pensieri e sensazioni di Pierluigi, che giace immobilizzato nel suo letto e non può parlare, mentre assiste al dissolversi della sua vita nelle emozioni, speranze e disillusioni – anche dei congiunti - che attraversano l’acquario della terapia intensiva: un contenitore vitreo nel quale si sente un pesce rosso. Non fosse che il pesce rosso almeno nuota, mentre il paziente è incatenato a “una serie di cavi e tubi che lo attaccano all’esistenza come i fili di una orribile marionetta”.
Intorno alla tragedia della fase terminale della malattia, si svolge la pantomima del potere che, attraverso Luca, l’autore condanna e rappresenta in modo impietoso: mentre la vita di Pierluigi precipita giorno dopo giorno, alcuni colleghi di Luca non perdono occasione per trasformare il lavoro in una gara di opportunismo e di carriera, incuranti di sentimenti e drammi che i malati patiscono.
Venturino concede tuttavia un pertugio alla speranza, disegnando la complicità che lega i due coetanei. Una complicità che si nutre di sguardi, nei quali si leggono incoraggiamento da un lato; paura, disperazione, richiesta di soccorso dall’altro.
Un testo per riflettere sui valori della vita e sulla durezza della lotta che talvolta la vita stessa riserva.
Un romanzo decisamente controindicato per gli ipocondriaci. O per chi ha avuto un’esperienza - diretta o per il tramite di una persona amata - della terapia intensiva. E non vuole riviverla neppure nell’immaginazione letteraria.
Bruno Elpis
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Commenti
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Giustissimo il tuo consiglio finale...era d'obbligo.
Con stima e riconoscendoti la tua sempre spiccata sensibilità e la bella forma di rispetto altrui che manifesti...
Pia
appena ne ho la possibilità lo leggerò!
Ciao carissimo!
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