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Novecento ha un'anima.
"Il Viriginian è un piroscafo. Negli anni tra le due guerre faceva la spola tra Europa e America, con il suo carico di miliardari, di emigranti e di gente qualsiasi. Dicono che sul Virginian si esibisse ogni sera un pianista straordinario, dalla tecnica strabiliante, capace di suonare una musica mai sentita prima, meravigliosa. Dicono che la sua storia fosse pazzesca, che fosse nato su quella nave e da lì non fosse mai sceso. Dicono che nessuno sapesse il perché." (Feltrinelli)
"A me ha sempre colpito questa faccenda dei quadri. Stanno su per anni, poi senza che accada nulla, ma nulla dico, FRAN, giù, cadono.[...] Non c'è una ragione. Perché proprio in quell'istante? Non si sa. FRAN. Cos'è che succede a un chiodo per fargli decidere che non ne può più?"
Ha un anima anche lui, si chiede Baricco? Non sapremo mai se il chiodo e il quadro si siano mai parlati, ma di una cosa si può essere certi: "Novecento" ha un'anima. E' un monologo teatrale che parla da solo, si recita guardandosi allo specchio, un libro le cui pagine si sfogliano da sole, un romanzo la cui trama si intreccia attorno ad una sola attività: l'immersione. Nell'Oceano di Novecento, nel Virginian, o nella tromba d'ottone del narratore. Un immersione fatta trattenendo il fiato, fino a sentire scoppiare i polmoni, e fino a perdere i sensi. "Novecento" si fa annusare, ha l'odore dell'infinito, il sapore del rumore del mare sulla cui superficie migliaia di personaggi, di persone, di attori e musicisti, di volti e di emozioni, vive.
La scrittura di Baricco è un'onda piena che travolge il surfista appena questo ha preso il fiato prima di essere inglobato in una montagna d'acqua, nella cui profondità scompare.Il ritmo diventa incalzante via via che la fine si avvicina, fino a culinare nei versi spezzati del finale.
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