Dettagli Recensione
P quadro
Premessa.
Novembre 1975, morte violenta di un uomo di cinquantatré anni nella notte del giorno dei morti, in una spiaggia marcia e baraccata dagli afrori di salsedine corrotta, lì all’idroscalo.
Un cielo nero e senza stelle, solo il rumore del vento che soffia su quel mare sporcato, su quel tratto di costa incatramata, un posto per cani randagi e residui di vita in prossimità della foce del Tevere, le cui uniche luci erano quella giallognola, attraverso i vetri chiusi ormai appannati, all’interno dell’Alfa coupé GT e quelle dei suoi fari. Poi vengono spente, non servono, non c’è più nulla da guardare né dentro né fuori.
Inizia un rito, questa volta l’ultimo, che porterà oltre all’offerta del corpo anche a quella del sangue in quel posto che porta già nel nome il simbolo del sacrificio: Ostia.
Non c’è redenzione dai peccati, sarà solo il peccato più grave: un omicidio. Lo strazio verrà dopo. Quella carne è stata schiacciata e maciullata da pneumatici senza scrupoli a perenne memoria dei derivati del petrolio, neri come quella notte e freddi come il plasma della terra, isole di pelle tra tessuti lacerati e una carcassa disarticolata ritrovata per caso al mattino: l’ultimo dolore come ultimo romanzo.
Pier Paolo Pasolini.
È una modalità grammaticale duale, che supera il genere e che attesta una condizione quantitativa imprescindibile: più di uno e meno di tre. C’è il poeta e accanto lo scrittore, c’è il cineasta e vicino l’intellettuale, c’è l’uomo di fede politica che è anche un artista.
Pino Pelosi.
È quasi logicamente una forma che lascia pensare a un plurale. È difficile che abbia fatto tutto da solo. L’idea espressa è che fossero più di due. Se poi ci sono stati dei mandanti ci deve essere stata una comunione di intenti e una condivisione ideologica.
Politica.
È parola di genere incerto, oggi più che mai. Per Pasolini un credo basato su esperienze e condivisioni culturali. Il comunismo vissuto in maniera impura con la convinzione che in quel momento storico, dopo la guerra, fosse l’unica strada percorribile contro il pensiero convenzionale e borghese imperante. La sua intransigenza lo porterà a prese di posizione scomode e fuori dal pensiero in progressiva decomposizione imposto dall’intellighenzia del partito. Il fratello Guido, partigiano, era stato “giustiziato” a diciannove anni in nome di un integralismo ideologico dai partigiani stessi. Pier Paolo non voleva fare la stessa fine per opera dei suoi “compagni”.
Lasciato solo, forse allontanato e scaricato sull’autostrada, come un cane ormai ingombrante e che esige impegno. Ti hanno visto che attraversavi la strada quella notte e ti hanno voluto prendere!
La solitudine dei grandi e il sentirsi in un’epoca violenta, un nuovo medioevo, tanto da trovare isolamento nella torre di Chia e lo spirito melanconico dei grandi interpreti dei suoi film: Maria Callas, Totò, Anna Magnani, Sergio Citti e Ninetto Davoli, il canto, la maschera e mamma Roma.
Profezie e pene.
Maschile e femminile assumono lo stesso significato, nella denuncia e nell’avversione alla corruzione imperante e alla compromissione dello Stato con poteri forti, mafie e servizi segreti deviati e devianti, qui pubblica e manifesta, lì privata e sessuale, vissuta con biasimo e scandalo per quei ragazzi di vita, da parte di chi nascondeva, insabbiava e praticava sermoni e stragismo.
Petrolio.
Opera incompiuta, che non è solo un romanzo ma anche qualcos’altro. Che cosa? Avrei la voglia di chiederlo a Pier Paolo ma non vedo come. È un quadro dell’Italia di allora, forse è stato solo un disegno preparatorio per un affresco che rappresenta l’oggi. Non riesco a percepirne i colori. Vedo tutto nero ed è tutto così contraddittorio. Induce paura questo scritto, la paura del buio, e quando esci all’aperto alla luce lunare assisti incredulo a rituali di purificazione a sfondo sessuale che sono degni di incubi estremi, pulsanti, morbosi e visionari. Lo stile di scrittura è decomposto come il petrolio stesso che è un prodotto di decomposizione del sottosuolo e si manifesta attraverso un uso della parola che taglia e penetra la sensibilità di ognuno come una trivella che deflora le superfici in cerca dell’oro nero. La società del consumo il cui benessere si misura in barili.
Pre e post-mortem.
Erano gli anni Settanta quando iniziò a volare Il gabbiano Jonathan Livingston, qualcosa sembrava potesse cambiare anche per noi che in fondo eravamo ormai solo una colonia americana. Forse è stata la paura dell’ignoto o forse solo una grande illusione se non un imbroglio, fatto sta, che qualche tempo dopo, quel gabbiano l’ho visto agonizzante su una spiaggia della Bretagna, con le ali sporche, viscide e pesanti, incapace di staccarsi da quella melma scura che chiamano marea nera. È rimasto lì morente in quella che è un altro derivato del petrolio. Mi ha ricordato Pier Paolo.
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