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Sottrarsi al nulla e vivere
Questo libro è il frutto dolceamaro di un periodo di lotte femministe, ma è anche specchio impietoso di quesiti esistenziali, espressi con stile struggente e caustico.
Decidere se dare la vita o negarla, quando non si crede in Dio e nella vita, significa dover percorrere da soli un sentiero pieno di contraddizioni laceranti.
La protagonista è una madre che gronda tenerezza dalle unghie, capace di difendere il suo bambino contro tutto e tutti, ma forse non contro se stessa. E' il prezzo da pagare alla cosiddetta maternità consapevole, che disdegna ogni forma di retorica da melodramma.
Ed ecco sbocciare l'amore più puro, quello non imposto dallo Stato e dalla religione, amore caparbio verso una creatura che prende forma: “Dormiamo insieme, abbracciati. Io e te, io e te... Nel nostro letto non entrerà mai nessun altro”.
E invece il mondo ci deve entrare, con le sue leggi buone per tutte le stagioni, con le sue ipocrisie: “Tu che non conosci ancora la peggiore delle verità: il mondo cambia e resta come prima”.
Una madre deve fare anche questo, preparare il figlio a difendersi dalle prepotenze, raccontargli favole senza lieto fine, insinuargli il dubbio: vale davvero la pena sottrarsi al nulla e vivere?
Ma sul terreno sdrucciolevole del dubbio lei stessa finisce per inciampare, e i sentimenti ostili di una donna che non fa sconti neppure a se stessa prendono il sopravvento: “Ti insinuasti in me come un ladro, e mi rapinasti il ventre, il sangue, il respiro. Ora vorresti rapinarmi l'esistenza intera. Non te lo permetterò”.
E' la zampata di una tigre abituata agli spazi aperti e costretta all'immobilità da una gravidanza difficile, forse è solo un momento di stizza, ma necessario come la vita stessa.
Costerà “vallate di tristezza invano fiorite d'orgoglio”, ed approderà ad una speranza carica di disillusione, messaggio estremo rivolto ad un essere che alla fine, avvilito, ha smesso di lottare:
“Il dolore non è il sale della vita. Il sale della vita è la felicità, e la felicità esiste: consiste nel darle la caccia”.
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Ho avuto questo libro in casa per mesi, una copia vecchissima e molto bella, poi l'ho ridato a chi credo volesse regalarmelo. Leggevo il titolo e lo riponevo, tutte le volte cosi'...
Credo proprio non lo leggero' nemmeno in futuro, comunque bravissima !
Libro immenso...l'ho amato moltissimo.Non se ne va mai più dopo che l'hai letto...
@CUB e @Fede: io ce l'ho da tanto in libreria. L'avevo già letto anni fa e mi aveva lasciato indifferente. Per me è a tratti struggente, ma non straziante.
Innanzitutto mi ricordano un periodo per il quale ho grande nostalgia: un periodo nel quale si dibatteva della vita, dell'amore, dei valori. Erano gli anni ai quali conseguì il referendum sull'aborto. Erano gli anni dei dibattiti vitali e del fermento culturale. Gli anni dei sogni. Non gli anni plastificati nei quali discutiamo se un rapporto è prostituzione, pedofilia o qualcos'altro di spregevole.
Secondo: credo che tu abbia interpretato in senso vero l'opera di una grande giornalista e artista, che purtroppo non c'è più. Oriana Fallaci. Quando lessi questo testo, ebbi voglia di leggerne altre. Così lessi "Penelope va alla guerra": un manifesto originale di un femminismo autentico, potente, mai scontato o omologato.
Terzo: e qui interviene un fattore del tutto personale e soggettivo. "La zampata di una tigre abituata agli spazi aperti " e "Il sale della vita è la felicità, e la felicità esiste: consiste nel darle la caccia” sono affermazioni che sento anche molto tue.
Quarto: mi hai fatto venire il desiderio di commentare la "lettera"...
Brava! :)
Bruno
@Bruno: le frasi in virgolettato sono ovviamente della Fallaci, ma quella della zampata la rivendico con orgoglio;-)
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