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Quando la vita accanto è anche un bell’anatroccolo
Ho iniziato a leggere questo libro un po’ per caso, ne avevo sentito parlare molto qualche anno fa e poi l’avevo lasciato nel dimenticatoio fino a quando ieri sera sfogliandolo iniziai a leggere il primo capitolo e non l’ho più mollato fino alla parola fine.
“Una donna brutta non ha a disposizione nessun punto di vista superiore da cui poter raccontare la propria storia. Non c’è prospettiva d’insieme.”
Rapita….ecco cosa ha fatto la storia e la pungente penna della Veladiano, mi ha rapita e tenuta ostaggio assieme a quella figura orripilante che nessuno voleva, che nessuno amava, che suscitava pena e sconcerto a tal punto da causare morte e far insediare la tristezza. Si, il dolore a volte è così potente che può spingere gli uomini dove non si vuole davvero andare.
Brutta…è brutta Rebecca è di una bruttezza rivoltante, una bruttezza innata, sbrecciata, indicibile. E’ il Belfagor, è l’Elephant man che solo pochi amano e che gli altri rigettano con l’atteggiamento dell’indifferenza, come consueto modus operandi della società che desidera avere accanto solo quello che fa bene alla percezione dei sensi e dove la bellezza è visibile e godibile.
Per Rebecca era una grazia l’invisibilità.
Una presenza ingombrante quando si parlava dell’inserimento a scuola e invece Rebecca silenziosamente era una bambina intelligente, o quando doveva fare le prove per entrare al Conservatorio, Rebecca suonava il piano meravigliosamente, ma solo per pochi, solo nelle quattro mura domestiche. Crescere incompresa e schivata era il punto di partenza del suo amore per la vita, fatta di silenzi e di ampi spazi, come quelli che immaginava tutte le volte che apriva le finestre per respirare l’aria pura, che era l’ unica cosa che rigenerava la sua triste vita. L’aria che era capace di entrare nei polmoni e a fare attecchire l’edera più insidiosa e incontrollata, che copriva il male di vivere che non vedeva dentro di se, ma dentro gli altri. Crescendo, Rebecca matura l’idea che finora ha abitato in una casa che sembrava un sacchetto di bonbon scaduti, che le cose andavano capite diversamente e che le risposte puntualmente arrivavano dall'esterno di quella cappa familiare che le aveva inculcato il concetto che nascere brutta è come nascere con una malattia cronica che può solo peggiorare con l’età.
Rebecca pensa, Rebecca si ama e Rebecca sceglie di vivere.
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Io ne so qualcosa, ma per fortuna il mio anonimato è un vantaggio dato che i ragazzi dalle mie parti sono tutti un po' (un bel po') sempliciotti.
Secondo me il termine 'bruttezza' può essere riferito solo a ciò che riguarda il carattere, i modi di fare, il comportamento... una 'innata' bruttezza fisica non credo esiste, anche a tratti non proprio gradevoli ci si abitua e con un po' di osservazione si trova qualcosa di grazioso... o no?
A me piace osservare la gente (è utile per disegnare ;P).
Comunque si parla molto bene di questo libro, brava gracy!
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La 'bruttezza' non esiste :D Almeno non fisicamente