Dettagli Recensione
Il brutto anatroccolo della vita accanto
Alla domanda di Bruno Elpis ( http://www.brunoelpis.it/le-interviste/172-intervista-a-mariapia-veladiano) su quale sia la dote umana che apprezza di più, Mariapia Veladiano ha risposto: “La capacità di accogliere senza giudicare.”
Ecco, mi pare questa la chiave di lettura del romanzo di esordio di questa brava autrice, “La vita accanto”, vincitore del premio Calvino 2010.
Rebecca è la protagonista, una bambina brutta, di una bruttezza mai veramente svelata ma sempre presente, che diventerà donna in un ambiente familiare chiuso e carico di misteri. La madre, persa nella propria depressione di cui si capirà solo alla fine l’origine , l’ama di un amore sofferto e non dimostrato, che Rebecca capirà solo dopo la sua morte, attraverso il diario che ha lasciato. La splendente zia Erminia ama troppo se stessa per occuparsi veramente di lei, ma tuttavia le fornirà lo strumento di salvezza attraverso l’unica cosa bella che Rebecca ha, le mani, che faranno di lei un’apprezzata pianista. Il padre sembra prendersene cura, ma la nasconde al mondo apparentemente per risparmiarle il dolore del giudizio altrui, che in realtà è il proprio.
Fa parte di un cliché d’uomo che ho ritrovato nell’altro romanzo della Veladiano, “Il tempo è un dio breve”. Si tratta di persone che fanno fatica ad assumersi le proprie responsabilità, uomini bellissimi e tormentati, fragili al punto che alla fine trovano una soluzione ai problemi solo fuggendo dalla realtà che li opprime.
Nessuna delle figure parentali sembra capace di accettarsi e accettare pienamente, e fanno in modo che la piccola, nella quale vedono orrendamente coagulate tutte le loro frustrazioni, cresca lasciandosi la vita accanto.
Nel piccolo universo familiare di Rebecca c’è per fortuna la tata Maddalena, l’unica ad accettarla davvero, che ha il solo difetto della lacrima facile.
Il rapporto che l’aiuterà nel percorso di acquisizione della consapevolezza sarà quello con la maestra di musica De Lellis, che sembra sapere molte più cose di quanto non sembri sulla famiglia dell’allieva, mentre il suo aggancio con il mondo esterno sarà l’amicizia della grassa Lucilla, loquace quanto Rebecca è silente.
Nel romanzo della Veladiano la bruttezza diventa metafora della diversità, sia essa fisica, sia psicologica.
Ci tocca tutti, perché tutti siamo e ci sentiamo “diversi”, a volte non accettati, spesso poco amati, emarginati dagli “altri”, che nella nostra testa formano una compatta entità astratta e ostile, ma altro non sono che tante monadi ognuna a suo modo peculiare.
Lo stile della Veladiano in questo primo libro è preciso e leggero nello stesso tempo, funzionale al racconto che è quasi una favola a metà tra Cenerentola e il brutto anatroccolo, dove però il goffo pulcino peloso non dispiegherà mai completamente le ali.
Indicazioni utili
Commenti
9 risultati - visualizzati 1 - 9 |
Ordina
|
Pia
Pia
9 risultati - visualizzati 1 - 9 |