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Il più bello dei siciliani
Il libro inizia con una nota allegra, un'ironia arguta che si affievolisce con lo scorrere delle pagine, fino a lasciare spazio solo all'amarezza.
Sullo sfondo di un'Italia ammaliata e umiliata dalla morsa fascista, si staglia il viso d'angelo di Antonio Magnano, che turba i sogni di ogni femmina del creato: belle o brutte, giovani o vecchie, caste o licenziose, tutte si getterebbero volentieri ai suoi piedi, “bruciando dolcissimamente”.
La prima vittima è la cameriera di casa, che nottetempo, in una scena semiseria, si graffia il viso e si straccia le vesti dietro la porta del “signorino” ignaro: “Chi mi mise questo fuoco grande nelle vene?”.
Giovane mite e dalle abitudini provinciali, orgoglio dei genitori che da Catania lo mandano a Roma a studiare Legge, Antonio non sembra trarre giovamento dalla sua posizione privilegiata, “pigro e sincero come il cameriere di un caffè siciliano in un pomeriggio d'agosto”.
Un'indolenza dalle sfumature sempre più tetre, che tutti attribuiscono senza ombra di dubbio ad un'eccessiva pratica dell'arte amatoria. Delle sue avventure romane di sciupafemmine si raccontano mirabilia, e pare che nelle alte sfere lo tengano in palmo di mano.
Torna in Sicilia dopo la laurea, in quel Sud “povero di avventure” dove lo aspetta la madre con l'uovo sbattuto e il padre fiero di lui. Quel senso di gelo che lo attanaglia, quella condanna inconfessabile sembra sciogliersi di fronte al miracolo dell'amore, ma è un'illusione di breve durata: “Il rumore di quello scandalo fu avvertito da tutta Catania come un boato dell'Etna”.
E' la morte sociale, l'onta inaccettabile anche per la Chiesa, l'umiliazione pubblica in un luogo e un'epoca dove non si ammette impotenza di sorta. Di grande impatto emotivo il dolore dei due anziani coniugi, che si asciugano a vicenda le lacrime per “la disgrazia” toccata al loro unico figlio.
Ci sono le beffe dei fascisti, ovviamente, ma c'è anche, cosa peggiore, la semplice cattiveria umana che ama infierire sui perdenti.
Ma è davvero uomo chi scende a compromessi con le proprie idee, leccando i piedi dei potenti, come avviene nel periodo fascista? E' uomo chi prende con la violenza una donna di condizione sociale inferiore, vantandosene come di una prodezza? Questo sembra chiedersi tra le righe lo scrittore, insieme a qualche considerazione filosofico-esistenziale messa in bocca ai protagonisti che rende un tantino prolissa la narrazione.
Toccante il finale, con i singhiozzi e “i sibili di un petto che, da molti anni, non si apriva a larghi respiri di felicità”.
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