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Una guerra all'ultimo sogno...
Mi sono avvicinato alla narrativa di Dino Buzzati, dietro consiglio di una persona cui davvero non potevo dire no. Ci tengo a precisarlo poiché ognuno di noi ha il suo mentore - "fido dispensatore di inchiostro" - merito sempre e comunque di una possibilità. Pertanto, dopo 'il segreto del bosco vecchio' e 'sessanta racconti', ho concluso il terzo romanzo (si legge spesso: della consacrazione) di Buzzati.
Ho apprezzato sovente, il tratteggio di luoghi incantati nei quali perdersi in gran parte dei suoi racconti. Vien da se una sana curiosità nell'apprendere fin dalle prime pagine, che le vicende questa volta si svolgeranno all'interno di una fortezza militare, resa (nonostante tutto) non meno misteriosa e incantata di tanti altri paesaggi "Buzzatiani".
Dimorerà al suo interno l'ufficiale Giovanni Drogo: tenente in erba, da poco investito del tanto agognato grado.
Fin dai primi giorni la bramosia di un futuro lucente e “solido” che tanto aveva guidato le scelte del protagonista, sembra tuttavia macchiarsi di un’indefinibile mestizia dall’oscura provenienza: che origini ha l'incipiente diniego che pervade chiunque sposi le mura della fortezza Bastiani ?
Nulla di magico, nessuna alchimia, solo il decorso naturale degli eventi: niente di più umano, niente di più fisiologico.
Il deserto dei tartari (verità o legenda?) entità alquanto astratta dall’irrefutabile fascino di mistero e conquista, prende la forma di un qualcosa contro cui lottare a salvaguardia di se stessi, degli anni da vivere e delle emozioni consumate ed erose dall'inesorabile e lento scandire del tempo…
Buzzati scopre le carte in tavola dopo poche decine di pagine, senza mai abbassare il livello della narrazione e - neanche a dirlo - deliziando il lettore con un lessico e uno stile confacenti un par suo.
Un testo ‘importante’ dalla difficile collocazione (la guerra è solo il mezzo), con l'arduo compito di far riflettere sui tempi della vita - il giusto ritmo delle cose - ed è così che percorreremo il sottile filo sui cui Drogo stanzierà la proprie scelte, "poggiando" la propria esistenza alla ricerca di un equilibrio tra il tempo che passa e una "guerra" che non arriva mai…
Questa, dunque, è la fortezza di Buzzati: un luogo laido - atono e consunto dagli anni - in cui si resta imprigionati tra mura stantie pregne di stillanti ricordi che la vita (scegliendo per noi), ci innalza attorno fino all'asfissia… fino all'annullamento dell’io, prigioniero di se stesso.
Persino l'amore è ormai appannaggio di canute e fragili rimembranze, e a distanza di anni, non è più lì dove il tenente Drogo lo ricordava.
Interessante l’aspetto psicologico di alcune figure vicine al protagonista del romanzo, così come l’analisi di ciò che a me piace intitolare (rimanendo in tema): l’arsenale onirico della notte.
Molto bello il finale: degna conclusione di chi pur sbagliando, non ha mai smesso di lottare.
Il passaggio:
“La camera si è riempita di buio, solo con grande fatica si può distinguere il biancore del letto, e tutto il resto è nero. Fra poco dovrebbe levarsi la luna.
Farà in tempo, Drogo, a vederla, o dovrà andarsene prima? La porta della camera palpita con uno scricchiolio leggero. Forse è un soffio di vento, un semplice risucchio d'aria di queste inquiete notti di primavera. Forse è invece lei che è entrata, con passo silenzioso, e adesso sta avvicinandosi alla poltrona di Drogo. Facendosi forza, Giovanni raddrizza un po' il busto, si assesta con una mano il colletto dell'uniforme, dà ancora uno sguardo fuori dalla finestra, una brevissima occhiata, per l'ultima sua porzione di stelle. Poi nel buio, benché nessuno lo veda, sorride.”
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