Dettagli Recensione
A proposito di "Le affinità alchemiche"
Erano dieci, quindici anni che non usciva un romanzo così. Tutti i presenti possono crederci e star tranquilli.
Non è che mi «rode il culo», proprio sono in coma totale, di fronte alla pre-sunzione di sapere e conoscere che galleggia sul Web.
L’una cosa è la libertà di “applaudire” o “fischiare”, fare delle pernacchie o emettere il verso del bue muschiato, tutt’altra cosa è averne la facoltà: cioè possedere proprio i titoli, gli strumenti e le competenze per esprimere un giudizio “serio”, cioè articolato, argomentato e motivato.
Io stesso, che pure sono laureato in Lettere moderne ? la tesi di letteratura italiana moderna e contemporanea mi s’intitola “Il difficile amore. Quattro “casi” della nuova narrativa italiana” ? sono per esempio un emerito ignorante in materia di Storia dell’Arte e, al cospetto di chi se ne intende, andrei incontro alla magra figura che merito se entrassi in un museo come il Louvre con dei bermuda da turista e avessi la pretesa di pronunciare stroncature e sentenze riguardo ad opere che non ho nessun titolo, nessuno strumento per criticare in modo adeguato.
È la stessa magra figura da turisti dell’Arte che gli improvvisati critici qui presenti stanno collezionando al cospetto di chi pure, in grazia d’un commovente amore per la giustizia, si prende la briga di provare a rispondere loro. Se anch’io mi cimento nella medesima impresa, non è perché sono amico di Gaia Coltorti, ché la conosco quanto la conoscete voialtri, ma è perché “Le affinità alchemiche”, questo intrico di spine, questo «disperato teatrino» come recita la frase in esergo ? a proposito, l’avete per caso letta la frase in esergo?, perché quella potrebbe schiudervi tante porte ? non è un romanzo che si lascia prendere sottogamba, menare per il naso o altro. In generale, la bellezza stessa, non sarebbe qualcosa che uno può permettersi di violare, deturpare e uccidere restando impunito.
Tutti i dottori con o senza laurea qui presenti possono credermi e star tranquilli: l’illustre Vladimir Nabokov, circa mezzo secolo prima, non aveva sapu-to far di meglio scrivendo “Lolita”. Solo, quel fortunato romanzo ha potuto godere della trasposizione cinematografica, ad opera di uno dei più grandi cineasti di sempre. Dovete ammettere che la circostanza rappresenta una discreta bottarella di culo, per dirla in un linguaggio comprensibile a tutti.
Ma a proposito di «quel che succede», cos’è che succede nel famigerato, osannato e scandaloso “Lolita”? Non è forse il lungo e dettagliato racconto di un amore a tutti gli effetti “impossibile”? «Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. Lo-li-ta: la punta della lingua compie un percorso di tre passi sul palato per battere, al terzo, contro i denti. Lo. Li. Ta. Era Lo, semplicemente Lo al mattino, ritta nel suo metro e quarantasette con un calzino solo. Era Lola in pantaloni. Era Dolly a scuola. Era Dolores sulla linea tratteggiata dei documenti. Ma tra le mie braccia era sempre Lolita.»
Se credete che un incipit tanto teatrale, paraculo e per così dire “odontotec-nico” non sarebbe stato disponibile alla penna di Gaia Coltorti, confrontatelo un po’ con quest’altro: «Ti ricordi? Eravate niente di più che due liceali dopo un incontro d’amore, e lei dormiva, adesso. Ti respirava sul collo, e con la sua soave presenza ti rendeva felice. Le pieghe delle tende. La luce del sole di Verona attraversava le tende, illuminava la stanza, e tu, in quel sentore di voluttà rarefatta intorno a voi, tendevi a perderti. L’appartamento di via Anfiteatro era silenzioso, sospeso nell’alone di compiuta pace che di quando in quando, in modo miracoloso, la quiete pomeridiana sprigiona. […] Il tuo stesso nome ? Giovanni ? per te non avrebbe significato più nulla, adesso, senza avere il suo accanto, un nome che solo a sentirlo ti riempiva il cuore di gioia: Selvaggia. Poiché, prima di lei, tu non eri niente, un ragazzo come tanti che passava inosservato, mescolandosi alla folla. […] Selvaggia era divenuta tutto, per te, in quei cento giorni in cui vi eravate amati. Lei era la tua ragione di vita, ciò per cui respiravi, motivo di scelte estreme, origine di sofferenze e gioie mai conosciute. Di tutte queste cose, entrambi avevate saputo d’essere intrisi fin dal primo incontro, quasi che, in grazia della passione che vi faceva esistere, foste venuti al mondo al solo scopo di amarvi.»
Ma scusate, è come per la musica vera. Come la si riconosce? Be’, è sempli-ce. Per averla frequentata, anzitutto. Per averla frequentata abbastanza a lungo, da saperla infallibilmente riconoscere non appena arriva il momento di riuscirci ? è come la prima volta che hai imparato a leggere ? arriva per te. Il primo incipit citato da “Lolita” di Nabokov è bidimensionale. Il secondo, che appartiene a “Le affinità alchemiche” è tridimensionale e quadrimensionale! Se per vedere meglio e convincersene sarà necessario indossare un paio di occhiali particolari, procuriamoceli al più presto! Ma molto tempo prima che sopraggiunga la cataratta che tutto offusca e annebbia!
Fin dall’inizio, fin dalle prime due pagine de “Le affinità alchemiche, non ci viene risparmiata la verità: il giovane Giovanni giace a letto con Selvaggia, e Selvaggia è sua sorella. Cos’altro deve ancora “succedere” che non sia già successo, fra mille cordogli e stupori che ci verranno meravigliosamente raccontati in seguito?
Dottori e dottoresse, con o senza laurea, se si legge un romanzo con l’idea di essere seduti al cinema, in attesa non del racconto di un mondo e di un modo di essere in quel mondo, ma di chissà quali sobbalzi, inseguimenti, effetti speciali e spargimenti di sangue, davvero si sta aspettando sotto la pensilina sbagliata.
Nuovi colpi di scena dovrebbero essere in agguato ogni minuto proprio come al cinema? Se all’alba del XX secolo fu il cinema ad attingere largamente al patrimonio letterario nel tentativo di legittimare se stesso sul piano culturale, verso il crepuscolo del secolo comincia ad accadere il contrario. Da allora, nel giro di pochi decenni, le narrazioni fatte di effetti speciali e trucchi, quasi fossero delle sceneggiature spacciate per romanzo, sono venute in gran voga anche perché rispondono al bisogno di “azione”, di “cinema”, di “videoclip, di “immagini in movimento”, della gran massa dei fruitori. Tutto ciò comporta conseguenze non marginali, probabilmente decisive, per la destinazione e la natura stessa dell’opera letteraria. In barba a qualsiasi verosimiglianza, la narrativa di cui è maestro Andrea De Carlo tende così ad acquisire tratti sempre più “cinematografici”, a colorarsi di “effetti speciali”, a procedere per “trucchi”, finalizzati a tenere desta l’attenzione del pubblico.
Il cinema, quell’autentico ordigno che riversa su di noi l’onere della sua tec-nologia fatta di immagini sempre più veloci e suoni spesso violenti, secondo molti avrebbe reso, o renderebbe necessaria, una nuova maniera di scrivere la letteratura. Va bene, intanto non siamo già più in grado di pensare quello che volevamo pensare, poiché le immagini si sono collocate al posto dei pensieri, e adesso vuoi vedere che ambiscono a mangiarsi pure tutte le parole?
È ovvio che chiunque abbia a portata di mano un calcolatore per fare i conti, eviterà di farli a mano o su un foglio di carta. Accade anche per le immagini e per il racconto delle emozioni. È anche così che piano piano il pensiero fugge da noi o atrofizza le sue funzioni.
Su queste basi, nulla nel mestiere di scrivere - non addentrandoci in questa sede nei discorsi che riguardano l’uso del personal computer piuttosto che della stilografica o del calamaio - potrà essere più scritto nel modo in cui era scritto ai tempi di Goethe e Flaubert senza suscitare la vostra annoiata impazienza?
Non s’insinua così che il dubbio seguente: se il cinema soddisfi qualche istanza che la grande letteratura non abbia già posto e risolto. Ebbene, per il qui presente titano la risposta è: no. Il pensiero può farsi immagine quando smette di essere parola, non prima. Quand’anche si faccia immagine con meno linguaggio possibile, non ci pare una gran conquista.
In definitiva, per farla più breve del solito, in quale romanzo italiano o non italiano degli ultimi trent’anni, un’adolescente dell’oggi è stata raccontata, si vorrebbe persino dire “cantata” con tanta e tale verosimiglianza come la pazzesca Selvaggia de “Le affinità alchemiche”? È ora di iniziare a snocciolare dei titoli però, altrimenti è troppo facile stroncare il romanzo in questione senza mettere sulla bilancia un corrispettivo termine di paragone, che chiarisca meglio non solo i vostri gusti letterari, ma anche e soprattutto il grado di grazia e di poeticità, il livello di profondità e di verosimiglianza, che esigete da un romanzo.
In tutte queste recensioni che si leggono sul Web, l’improvvisato critico non riesce a nascondere, e anzi tradisce apertamente, l’intenzione di voler apparire, egli stesso, più interessante del romanzo che recensisce, come se recensire quel romanzo non fosse che il semplice pretesto per salire su un piccolo palco: da cui, denigrando e snobbando, provare a riscattare, seppure nell’esiguo spazio di una paginetta, la frustrazione di non riuscire ad essere a propria volta uno scrittore o una scrittrice?
Ora, in tutta onestà, vi siete mai perduti un pomeriggio dentro una poesia di Cesare Pavese? Ecco, un buon romanzo ? ne avrò contati una dozzina in tutta la mia vita, e “Le affinità alchemiche” è fra questi ? fa quest’effetto moltiplicato per cento. Quando ho finito di leggerlo, ricordo d’aver pensato: “E adesso? Mio Dio, adesso che facciamo?”
E poi ancora: “Qual è il preciso istante in cui Selvaggia si rende conto che il fratello Giovanni prova per lei un amore assoluto?”
“È forse quello il momento in cui lei decide che non c’è un posto nel mondo per loro due?”
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Affermare, senza l'ombra di un dubbio, che Gaia Coltorti «non è stata capace» è presuntuosissimo. Ma da dove ci parla valeceleste? Da quale scranno?
"Lolita" di Nabokov, mettiamolo pure sul piatto della bilancia. Paragonando i due incipit, quello de "Le affinità" non ne esce affatto ridicolizzato. Anzi, il contrario, poiché «Fuoco dei miei lombi», che giuro non ricordavo, e tutta la restante sbobba della lingua che compie un percorso di tre passi per battere, al terzo, contro i denti, è Blob e Super Blob.
Cristina72, infine, ha capito tutto di quel che ho scritto, infatti ha pensato che io dessi a Gaia Coltorti del «Nabokov in gonnella». Semmai si potrebbe considerarla una talentuosa nipotina di Elsa Morante.
Va be'. Io non so se ci rinuncio o vado avanti.
sono anche io laureata in Lettere Moderne, specializzata in "Teorie e tecniche della comunicazione", ed una delle prime cose che ho imparato è saper adattare i miei scritti al contesto di fruizione.
Tre punti per descrivere il contesto:
1) Siamo su UN SITO INTERNET su cui (almeno per quanto mi riguarda) uno cerca di parlare delle proprie passioni in modo si competente, ma comunque divertente e leggero. Se voglio il parere di qualche professorone, vado ad una conferenza all'università.
2) Nessuno di noi qui è un nobel, ma nemmeno una (per dirlo alla Vittorio Sgarbi) capra, capra, capra. Questo tacciare gli utenti come "recensori della domenica" è un insulto alla loro intelligenza. Ciascuno ha le sue competenze e le sue peculiarità, e fa quello che può.
3) In questo momento, siamo tutti semplici AMATORI, e come tali a mio avviso ci dovremmo comportare su questo sito, nonostante le nostre qualifiche e competenze. Il mio amico virtuale Bruno Elpis, scrittore, non è mai salito in cattedra nelle sue recensioni, non vedo perchè debba farlo tu, con presunzione e tracotanza.
Detto ciò, io ti ringrazio per avermi ricordato uno dei motivi per cui ho deciso di non intraprendere la carriera accademica: la letteratura viene ridotta a scienza, la passione è soffocata. In un vero letterato - quale mi piacerebbe essere - competenza e amore devono andare di pare passo. Una recensione fatta di sola competenza diventa arida. Fatta di solo amore invece è nuda. Mettendo insieme questi due elementi si può veramente capire cosa un libro voglia trasmetterci. Purtroppo, nel tuo testo, vedo solo un elenco di NOMONI (Pavese, De Carlo, goethe, flaubert eccetera) ma ... dopo aver ricevuto il nostro 10 e lode, con una bella promozione, che ne dici di parlare anche un po' del libro? Conoscere la letteratura, non è sufficiente per essere dei letterati. Scendere nel cuore della pagina è privilegio di pochi, forse neanche mio.
Cordiali saluti.
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