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Sostiene Pereira
Vedovo e sovrappeso, Pereira conduce una vita solitaria dirigendo la pagina culturale di un piccolo giornale di Lisbona. E’ il capo di se stesso finchè nella sua vita entra Monteiro Rossi: il motivo per cui lo assume come praticante non è chiaro nemmeno a Pereira, ma il giovane – che pure non brilla per simpatia - e la sua fidanzata Marta finiranno per smuovere il vecchio giornalista fino a dargli il coraggio per un gesto di sfida all’opprimente dittatura salazarista, con conseguente rinuncia a una tranquilla esistenza e l’accettazione di un futuro pieno di incognite. Non si sa chi sia l’anonimo narratore che raccoglie la testimonianza di Pereira – da cui l’intercalare che è anche il titolo del libro – mentre indiscutibili sono i meriti di Tabucchi che riesce a raccontare il difficile processo di trasformazione, ovvero di presa di coscienza, dell’anziano giornalista in meno di duecento pagine: si susseguono impercettibili, a volte anche al protagonista stesso, spostamenti di prospettiva che nascono da piccoli fatti o incontri, eppure il lettore è spinto a voltare pagina grazie anche a una lingua semplice ma accattivante che, nel tono, riflette l’animo bonario del personaggio principale (che, in fondo, è un ottimista). Resta così nella memoria questa caldissima estate del ’38 in cui, mentre all’orizzonte mondiale inizia a profilarsi la guerra, Pereira decide che non è possibile stare sempre solo a guardare, vivendo un tran-tran fatto di racconti francesi da tradurre, limonate e omelette al Cafè Orquidea (queste ultime, oltretutto, sono una minaccia per il cuore malandato): in una capitale portoghese sonnolenta e svuotata dalla stagione, l’idealismo di due ragazzi e il coraggio del dottor Cardoso, uniti al servilismo a tutti i livelli (dalla portiera delatrice al direttore asservito al regime) e alla violenza ottusa che serve da definitivo innesco, danno al protagonista il coraggio di rischiare in proprio tanto da poter mantenere come unico legame con il passato la foto della moglie con cui è abituato a dialogare. Il risultato è un libro molto bello, che merita senza alcun dubbio lo status di classico che si è subito guadagnato (se proprio si vuole cercare il pelo nell’uovo, si può dire che si percepisce un lievissimo calo nelle due occasioni in cui Pereira lascia la città, ma siamo al limite della fisima personale) e non depone certo a mio favore l’averlo lasciato così tanto tempo a impolverarsi in libreria: il fascino di queste pagine è tale da far venir voglia di visitare Lisbona, salendone e scendendone le strade quando il vento dell’Atlantico soffia e pulisce il cielo.
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