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Il contesto
In quello che è il suo quarto romanzo, lo scrittore siciliano è esplicito fin dal sottotitolo: ‘una parodia’. In un Paese immaginario, qualcuno dà il via a una serie di assassinii che hanno in comune solo il mestiere delle vittime, tutte appartenenti a vario titolo alla magistratura. Il caso viene affidato al miglior investigatore a disposizione, l’ispettore Rogas, che riesce a trovare quel che pare il bandolo della matassa individuando la presunta vittima di un errore giudiziario – Sciascia doveva avere una fissa con i farmacisti… - ma finisce impaniato sempre più nei segreti non confessabili delle connessioni fra magistratura e politica. L’inizio è fulminante e tutta la prima parte, quella dell’investigazione vera e propria, mantiene una brillantezza sostenuta da una scrittura accattivante e intessuta di sottile umorismo: quando l’azione si sposta nella capitale e i piani di lettura iniziano a sovrapporsi man mano che la storia si ingarbuglia, il ritmo scende e con esso la qualità, che non riesce a mantenersi all’altezza delle pagine precedenti. Sarà forse perché, a quel punto, l’autore ‘non ne poteva più’, come scritto nella nota in fondo al libro, di una storia che aveva iniziato ‘divertendosi’: l’allegoria della giustizia e delle sue storture si è ormai trasformata nella rappresentazione di tutto un sistema di potere che Sciascia vedeva tanto incombente e immutabile da rendere vano qualsiasi tentativo del singolo di bloccarne gli ingranaggi. Quello che era la mafia in ‘A ciascuno il suo’, qui è, in fondo, lo stato: un organismo chiuso in se stesso, completamente autosufficiente e indifferente al mondo esterno. Negli oltre quarant’anni trascorsi dall’uscita del romanzo, il lucido pessimismo dell’autore ha dimostrato di essere quanto mai attuale, perché assai poco è cambiato e, se possibile, pure in peggio. Il Paese senza nome lascia scorgere in filigrana la Sicilia e, soprattutto, l’Italia oggi così come accadeva agli inizi degli anni Settanta: una sensazione di amarezza e ineluttabilità profonda, accentuata da un finale in cui molte restano le domande senza risposta (quanti sono i misteri italiani rimasti irrisolti?). Tutto questo in meno di centoventi pagine, a dimostrare ancora una volta la forza della scrittura e della capacità di raccontare di Sciascia: a causa della ‘difficile’ seconda parte, ‘Il contesto’ non è all’altezza di altre sue opere, ma si legge comunque con grande piacere, grazie alla lingua scorrevole eppure mai banale, malgrado lasci un indistinto malessere offerto dalla caustica rappresentazione di cosa voglia dire essere italiani.
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