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Vita e morte nelle periferie romane
Finalista del premio Strega del 1959 (assegnato poi al Gattopardo di Tomasi di Lampedusa), Una vita violenta di Pier Paolo Pasolini è successivo al più famoso Ragazzi di vita del 1955. I due romanzi hanno come obiettivo quello di raccontare, nella maniera più cruda e diretta possibile, la miseria e la disperazione del proletariato romano del secondo dopoguerra. Un proletariato rozzo e animalesco che vive di espedienti nelle periferie allora malfamate di Roma, fatte di sporcizia e baracche, dove la miseria dei luoghi riflette la miseria umana di chi ci abita. Pasolini descrive benissimo questo universo primitivo: i personaggi che compaiono nel romanzo sono ladri, assassini, prostitute e ragazzi poco più adolescenti che vendono il loro corpo per pochi spiccioli. La descrizione di Pasolini, nonostante risenta dei canoni del neorealismo, si discosta decisamente da questa corrente, per abbracciare una raffigurazione della realtà ancora più cruda e più feroce. Non c'è ideologia nel racconto di Pasolini. C'è solo l'inifinita tristezza e l'immoralità di questi personaggi, animati da uno spirito di sopravvivenza animalesco, uno spirito di sopravvivenza che li porta ad vivere una vita di violenza e nefandezze.
Le vicende del protagonista Tommaso Puzzilli, seguono la sua crescita morale e sociale, dall'infanzia fatta di furti e bravate con altri coetanei, fino al sacrificio finale, che lo porterà a riscattare la sua condizione umana. Tommaso vive il suo "stato di natura" (per dirlo alla maniera di Rousseau) ma cerca sempre in tutti i modi una forma di riscatto, che all'inizio sembra provenire dall'amore sincero e genuino che prova per la bella Irene, per la quale fantasticherà una vita matrimoniale insieme. Ma un'altra occasione di riscatto si presenta per la famiglia di Tommaso, che rientra in un progetto per l'assegnazione delle case popolari. Il nostro protagonista è felice perchè si sente, finalmente, appartenere al ceto medio. Tommaso è convinto che quella casa dignitosa possa, una volta per tutte, cancellare il suo passato e la sua povertà. E' l'imborghesimento del proletario, tematica molto cara a Marx e molto presente in tutti i racconti pasoliniani.
Mi sento di consigliare questo romanzo per il grande affresco che ci presenta sulla realtà proletaria e periferica della Roma degli anni Cinquanta. E' un libro crudo, spietato, senza compromessi, che può dar fastidio a più di qualche lettore. Pasolini non cerca in nessun modo di drammatizzare o, al contrario, edulcorare la realtà che ci racconta: il suo stile è asciutto e racconta i fatti con un approccio quasi giornalistico. Interessante poi è l'uso che fa del dialetto romanesco, sul quale si fece consigliare anche da Franco Citti.