Dettagli Recensione
Top 10 opinionisti - Guarda tutte le mie opinioni
Nulla è più presente del passato
Giuseppe Bonaviri, romanzo dopo romanzo, non finisce di stupirmi, mai uguale pur nell’ambito di un itinerario logico che ha accompagnato nel tempo la sua produzione. Se si parte dalla prima opera, Il sarto della strada lunga, edito nel 1954, e che può essere considerata di stampo naturalistico, quasi nel filone verghiano pur evidenziando a sprazzi quei riferimenti onirici più accentuati in lavori successivi, e si procede nel tempo si arriva a La divina foresta, del 1969, quasi un poema, la cui scrittura immaginativa prende definitivamente corpo e svincola da quello che può essere un’osservazione di stampo realistico per confluire magmaticamente in una trascendenza delle cose, in particolare della natura, le cui sensazioni, elaborate inconsciamente e metabolizzate, si esplicitano in un fantasmagorico caleidoscopio di immagini quasi surreali.
Negli anni successivi questi ricordi infantili, che con il susseguirsi delle età dell’autore inevitabilmente sfumano, diventano più sostanza del loro significato che figure, paesaggi e storie relative. Poco a poco risultano il frutto di una proiezione onirica, di un mondo lontano mescolato fra la fantasia di un bimbo e quella più creativa di un adulto. E’ così che fioriscono metamorfosi e allegorie, un segno distintivo dello scrittore di Mineo, sempre più incline a mediare la realtà oggettiva con le soggettive sensazioni della stessa.
Ed é questo anche il caso di Silvinia, romanzo pubblicato nel 1997, che rievoca la dolorosa epopea dei nostri emigranti, in particolare di quelli siciliani, dall’Etna a Manhattan, alla ricerca della piccola Silvinia. Lei è una fornaia che porta insieme ad altre bimbe la farina in fornerie site in un vulcano spento, da cui escono pani fragranti, che vengono riportati e distribuiti fra le genti dell’isola. Sparisce, non si sa dove sia finita, tutti la cercano, in particolare il padre fornaio Salvatore Casaccio che si reca perfino in America, nel caso sia là (si noti che questi è un personaggio reale, nonno materno di Giuseppe Bonaviri).
Il viaggio per mare è un’ulteriore occasione per dare sfogo alla grande fantasia dell’autore con immagini che ricordano le illustrazioni della Divina Commedia di Doré, o che rievocano atmosfere melvilliane, in un crescendo proprio dell’opera sinfonica che trova il suo naturale e definitivo acuto in una Manhattan allegorica, brulicante di immigrati riuniti per commemorare il quinto anniversario della scomparsa di Silvinia e dove il funerale dello stesso Salvatore Casaccio assume una ridondanza creativa che vede partecipi il sindaco Fiorello La Guardia, Charlie Chaplin che veste i panni di Charlot, celebri protagonisti dei cartoni animati, quali Paperino, la Bella addormentata e perfino un attore come James Stewart, in un caos e una sarabanda infernali, che visivamente possiamo ritrovare solo in certe pellicole di Federico Fellini.
La nozione di tempo viene ad essere così annullata, passato e presente diventano un unicum e il corso della vita è visto da un adulto con gli occhi di un bambino. Nulla è dovuto al caso, siamo un istante nell’eternità e il candore di quest’uomo lo spinge a raccontare con altrettanta apertura d’animo una storia che può essere vista come la metafora dell’esistenza, di quella inutile ricerca di se stessi a cui mai si approda se non quando si lascia il mondo.
Comunque le interpretazioni possono essere e probabilmente sono molteplici, perché quel discorso della farina che diventa pane, per poi essere distribuito, ricorda tanto l’eucaristia, qui forse vista non sotto l’aspetto propriamente religioso, ma come partecipazione di ognuno all’umanità a cui tutti dovrebbero dare per poter ricevere, insomma al di là della fantasmagoria che balza agli occhi ci sono messaggi ben più profondi, occasioni di riflessione, di ritorni sulle pagine, di soste più o meno prolungate, in ogni caso indifferibili, se si vuol cercare di entrare in sintonia con questo grandissimo scrittore.