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Inesplicabile gnommero
Nella Roma del ventennio non c’è spazio per la criminalità. L’opera di moralizzazione dell’Urbe portata avanti dal “Testa di Morto in tight” prevede l’estinzione di ladri, assassini, truffatori e compagnia bella. Ma un duplice pasticciaccio rischia di infangare la riuscita del programma del “Mascellone”. Nell’inverno del 1927 infatti in via Merulana succedono a breve distanza due fatti criminosi, nello stesso palazzo e addirittura sullo stesso pianerottolo. Prima avviene un furto a colpi di pistola in casa della contessa Menegazzi, quindi viene brutalmente assassinata la sua dirimpettaia, la distinta e affascinante signora Liliana Balducci, grande amica e inconfessato amore del dottor Francesco Ingravallo, comandato alla mobile. E proprio a lui, don Ciccio come tutti lo chiamano, viene assegnato il compito di condurre le indagini, per scoprire i colpevoli e mettere a tacere l’opinione pubblica per la gioia del “nuovo inquilino in fez di palazzo Chiggi”. Ma non sempre le ricerche portano alla scoperta della verità. Coerentemente con la sua visione del mondo basata sulla inesplicabilità delle vicende umane, Gadda lascia questo giallo insoluto, così come insoluti risultano gli sforzi dell’uomo per venire a capo della complessa matassa della vita. Vediamo quindi i vani tentativi di don Ciccio di districarsi in questo ingarbugliato “gnommero” , tra cugini incantatori, ingegneri dal palato fino, garzoni sospetti, elettricisti latitanti e ragazze sedotte e abbandonate. Ma il buon Ingravallo appare svogliato e rassegnato nella conduzione dell’indagine, un po’ per la palese inanità della sua ricerca, un po’ per la scarsa voglia di lavorare al servizio di un governo scellerato. L’autore mette in secondo piano l’aspetto giallo della storia, esponendo invece la sua disillusa concezione della vita, ironizzando sulla condizione umana e affondando stoccate sul regime e sul suo fanatico leader. Ma la sua idea di inestricabilità del mondo sembra ricadere anche sulla prosa che risulta arcigna e fin troppo articolata, rendendo ostica e pesante la lettura. A ciò vanno aggiunte le lunghe disquisizioni in stile barocco su argomenti avulsi dal contesto e per niente interessanti come ad esempio l’importanza degli alluci nell’iconografia sacra. Gradevole invece, anche se a volte di difficile interpretazione, il ricorso a pittoresche espressioni dialettali e a folkloristici personaggi popolari come ad esempio sora Manuela o la Zamira, sarta, lavandaia, ristoratrice, indovina, meretrice e maitresse, che danno un’idea colorita e realistica di una capitale e di una nazione a cui, nonostante le difficoltà dell’epoca in questione, non si può che guardare con simpatia.
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....si Silvia, no saprei se consigliarlo o meno, per me non è stata una lettura piacevole ma come vedi dal commento di Sharma per altri è stato diverso...
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