Dettagli Recensione
Soffro di graforrea, perdonatemi.
La lettura di questo libro mi ha sorpreso più della scoperta dell’esistenza dei soffioni boraciferi…per dire.
Mi è capitato più volte di sentirne parlare e lo collocavo nella libreria mentale alla sezione “Libri da leggere, con calma, ce ne sono altri più belli”.
E’ stato amore a prima riga.
Da piccola giocavo a scacchi. Ho fatto qualche torneo, niente di speciale. Mi piaceva molto giocare e il mio Maestro diceva ai miei genitori che ero molto brava.
Non sono molto scaltra nella vita ma gli scacchi a me, già all’età di nove anni, non me la contavano giusta. Percepivo il loro pericolo. Attiravano troppo la mia attenzione e, notavo ai tornei, l’attenzione di troppa gente che non mi sembrava tanto a posto.
Ho avuto la conferma della mia sensazione in due occasioni in particolare.
Durante un torneo, in cui ero nella categoria “pulcini” avevo già sconfitto il mio avversario così, siccome c’era uno dei “cadetti” liberi mi hanno chiesto di scontrarmi con questo “ragazzo più grande” (due anni in più, mica Matusalemme!). La gente aveva preso la nostra sfida come chissà quale evento, attiravamo l’interesse della folla (crescendo, l’avevo soprannominata la partita Kasparov-Karpov de noiartri) manco ci fosse il Papa a distribuire grazie. Giocavo e mi chiedevo: “Ma questi qui? Ma che problemi hanno? Devo dire a mamma e papà che qua c’è gente pazza, e di vestirmi magari un po’ meglio in queste occasioni perché questi squadrano più della mia squadra geometrica” (ai tempi mi sembrava una battuta divertente). Vinsi, ma perché il tipo era veramente incapace, non perché io avessi fatto una partita brillante. La cosa provocò molto scalpore al momento. Si complimentarono tutti e io, incapace di sostenere tutta quell’attenzione per una cosa da niente, me ne andai a casa con la sola voglia di sentire il racconto dell‘uscita di mia sorella con le sue amiche, allontanando il più possibile il mondo scacchistico.
La volta successiva mi scontrai con la campionessa italiana. Avevamo un punto di differenza. Per vincere a lei bastava una patta.
C’era una tensione pazzesca nell’aria che la ricordo tuttora. Il mio Maestro, che era anche il suo, tifava chiaramente per me ed era inquieto.
Si guardavano tutti di sottecchi, come a voler nascondere chissà quale segreto.
Non mi è mai piaciuta la competizione, soprattutto nei bambini, e trovavo quella situazione assurda. Durante la partita, in cui io giocavo coi neri, mi guardavo in giro affascinata e perplessa, tanto che mia madre (erano tutti accanto alla nostra scacchiera) mi diceva spesso di non distrarmi. Il mio Maestro mi lanciava sguardi assassini, mi sembrava di sentirlo: “Francesca, concentrazione, diamine!”
Ricordo che lì capii ciò che gli scacchi potevano diventare. Guardavo quei volti in tensione per due bambine che giocavano a scacchi. Cavoli, stavamo GIOCANDO.
La mia avversaria mi chiese la patta. Gliela concessi, sapendo che sarei arrivata seconda ai campionati.
Non avrei dovuto, mi dico spesso, ma fu lo sguardo dei miei genitori quello che mi preoccupò maggiormente. Erano agitati, impazienti, seri, e i loro occhi erano diventati tetri come quelli degli altri. Quella situazione ci faceva male.
Ho smesso di fare tornei ma invece che giocare al Sega Master System come tutti gli altri bambini io giocavo a scacchi, da sola. E MI PIACEVA.
Sono passati molti anni e ancora adesso mi capita, di notte, di fare tardi con la mia scacchiera elettronica. Gli scacchi sono incantesimi, ci giochi e non te ne liberi più.
Tutte queste parole per portarvi a credere che davvero questo gioco ti cambia, ti fa uscire di senno se gli dedichi la vita. L’ho passato io nel piccolo, piccolissimo, figuriamoci a livelli superiori.
Il fatto che in questo libro alcune vite dipendano da una partita a scacchi è da brividi ma dannatamente vero. In un modo o nell’altro è così.
Mi permetto di dire che però, se dovessi scegliere tra il non conoscere affatto il gioco o l’uscirne pazza sceglierei senza ombra di dubbio la seconda, non si può vivere e non provare il brivido di una partita, non si può non fermarsi a riflettere su quanto questo gioco sia simile alla vita umana: pedoni, alfieri, cavalli, Re e Regine (che rappresentano i ruoli che si possono avere nella vita) interagiscono ognuno col proprio “carattere” ma alla fine della partita tornano insieme nella stessa scatola. Un po’ come noi uomini, esiste un’unica fine per tutti. Anche per chi, per cause maledettamente ingiuste detiene il potere.
Anche per persone che, credendosi nel giusto, nascondendosi dietro la propria fittizia superiorità calpestano la vita umana. Un’unica fine gente, proprio per tutti. Non si è superiori a nessuno. MAI.
S parla anche di Olocausto in questo libro, e io non me la sento di parlarne perché è una cosa che mi lascia senza fiato. Le ultime pagine le ho lette piangendo.
Leggetelo, fa bene all’anima.
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Commenti
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Invece è un modo per far capire quanto sia "speciale" il gioco degli scacchi e quanto possa condizionare la vita e i comportamenti delle persone.
È un libro da leggere, però, indipendentemente dal fatto di conoscere o meno il gioco.
Grazie mille...
Hai letto" La regina degli scacchi" di Walter S. Tevis per caso?
Sì l'ho letto tempo fa, è una storia molto toccante. Tu?
Ste, con te non si sa mai, mejo specificare l'ovvio. ;)
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La tua testimonianza è incredibile e rende ancora più vera e realistica la storia!