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La malattia della morte
« O quando tutte le notti - per pigrizia, per avarizia - ritornavo a sognare lo stesso sogno: una strada color cenere, piatta, che scorre con andamento di fiume fra due muri più alti della statura di un uomo; poi si rompe, strapiomba sul vuoto. »
Mi è sembrato doveroso scrivere questa recensione partendo dall'incipit di questo romanzo, pervaso da un'atmosfera onirica e surreale. Un'atmosfera che trova la sua spiegazione già nel titolo: il termine "diceria" viene spiegato dallo stesso autore come un "racconto, dettato, monologo con in più un’insinuazione di scarsa credibilità, come di uno sproloquio mormorato all’orecchio". E cos'è il sogno, il magico, il mitologico, se non un'insinuazione di scarsa credibilità? Perché questo è il mondo della fantasia: un mondo dove le leggi e le convinzioni del reale cessano di esistere. Perché questo è il mondo della letteratura.
Il riferimento all'untore, infine, non può non farci ritornare in mente il mondo degli appestati, degli infetti e dei sanatori di manzoniana memoria. Ed è proprio in un sanatorio dove si svolge la trama del libro.
Siamo nel 1946 e un reduce delle seconda guerra mondiale si ritrova ricoverato in un sanatorio della Conca d'Oro, vicino Palermo. Il sanatorio è popolato da donne, bambini, reduci di guerra e malati cronici. Tutti accomunati da un identico destino: l'attesa della morte. E' la morte, infatti, la tematica dominante di questo romanzo. La paura (o forse la speranza?) di morire viene esorcizzata da questi curiosi personaggi che si intrattengono a vicenda con discorsi, monologhi interminabili e dispute filosofiche. Si tratta di dicerie, appunto. Si stringono amicizie, ci si innamora, si tentano delle fughe. Tutta l'atmosfera del romanzo è onirica e fittizia. Anche il sanatorio sembra un luogo surreale, che non esiste nella realtà, dove lo spazio ed il tempo sembrano essere stravolti. Un luogo che sembra più che altro un palcoscenico dove i malati e i medici sono attori e i loro dialoghi, le loro dicerie, sono parti di un copione già scritto.
Il linguaggio dell'autore è colto, ricercato, con l'utilizzo di termini desueti e raffinati. I periodi sono cesellati con estrema cura dall'autore, quasi alla ricerca di una perfezione letteraria, che si sposa con l'uso di citazioni estremamente fini.
Non si tratta di un romanzo facile da leggere. E' un libro che richiede uno sforzo di concentrazione e un impegno da parte del lettore non indifferente. Io stesso, ingannato dalla brevità del romanzo, ero convinto che l'avrei letto in pochissimo tempo. Così non è stato, ovviamente. Questo perché è un romanzo che richiede una lettura ragionata, né superficiale né tantomeno distratta.
Ma nonostante queste difficoltà, io mi sento di consigliarne la lettura.