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Un'occasione persa, ma comunque da leggere
Questo romanzo, di ambientazione storica, è costituito da due parti.
Nella prima ci sono gli anni dell’infanzia e della giovinezza del protagonista Errico Nebbiascura, figlio di Ruggero, fabbro di un paese della provincia di Alessandria e anarchico convinto. Siamo nei primi anni del XX secolo e l’atmosfera viene resa da Bertante in modo stupendo, con il progressivo avvicinarsi all’ideologia anarchica di questo ragazzo, nato con un occhio viola, segno di presagio e di sventura, e che poi verrà soprannominato al Diavul.
Il periodo storico, con la prima guerra mondiale e l’avvento del fascismo, è delineato con precisione e con approfondimenti che inducono a riflessioni sul perché degli eventi. In ciò, pertanto, sta anche il pregio di questa prima parte, dove ben poco, per non dire nulla, è lasciato a luoghi comuni e tantomeno alla retorica, lasciando invece intravvedere, nelle pieghe della vicenda, aspetti che poi si proiettano anche nell’oggi.
Ci sono pagine di straordinaria bellezza, quali, per esempio, la fuga all’estero del protagonista, onde uscire dal torpore imposto da un regime ormai consolidato. Il passaggio della frontiera italo-francese è uno di quei brani che, giustamente, possono essere considerati di alta letteratura, con le sensazioni, i timori, ma anche le speranze che Errico avverte e che il lettore poco a poco fa proprie.
La seconda parte inizia con il protagonista inserito negli ambienti anarchici di Barcellona nei mesi immediatamente antecedenti l’inizio della guerra civile. Anche qui troviamo pagine in cui la maturazione della coscienza critica di Errico sboccia lentamente, così che si è accompagnati con gradualità al grande sogno della rivoluzione proletaria. Quando questa ha inizio, però, la scrittura cambia passo, diventa più chiassosa, assumendo aspetti stereotipati di un evento e di un’epoca che meriterebbero invece maggiori approfondimenti e riflessioni.
Così il crollo del sogno avviene in modo poco omogeneo, mescolando risentimento e spirito di vendetta, che nulla possono apportare a una conoscenza dei motivi della sconfitta repubblicana. Ci sono certo accenni alla doppiezza dei comunisti, si scalfisce, si abbozza, ma non si va oltre, finendo con l’assumere rilievo preponderante la vicenda personale del protagonista. Diminuisce così lo spessore dell’opera, senza che peraltro sia dato il risalto che merita al travaglio interiore del deluso Errico, che addirittura viene fatto finire in manicomio, una soluzione sbrigativa che resta solo un abbozzo del dramma del protagonista.
Su questa scia arriva anche la fine, purtroppo assai convenzionale, ove fa di nuovo capolino una retorica di cui certo un anarchico convinto non sarebbe stato contento.
Peccato, dunque, perché è stata un’occasione persa per delineare il quadro di un’ideologia nel periodo in cui ebbe maggiori proseliti. Comunque, alla luce dell’attuale produzione letteraria nazionale, asfittica e priva di idee, il romanzo di Bertante ha il merito di aver cercato di dire qualche cosa di nuovo, magari riuscendovi solo in parte, ma è già un po’ di luce nell’oscurità dell’odierna narrativa italiana.