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Acqua storta
Quanto è facile cedere al già detto o al già sentito quando l’argomento principe di un romanzo è la camorra? Ma non cade nel tranello Luigi Carrino, che realizza questa sua opera prima, Acqua Storta, magnificamente, riservando uno sguardo al dialetto napoletano e alla crudezza del linguaggio, affilato come una lama, e uno alla poesia, tutta riservata alla storia d’amore motore del testo, quella tra Giovanni e Salvatore.
Giovanni è figlio di Don Antonio Acqua Storta, un vecchio boss della camorra napoletana costretto a vivere in un bunker, recita Dante e si convince di operare secondo la Sacra Parola della Bibbia. Ma Giovanni è anche il marito di Mariasole, una donna forte, istruita e, come tutte le donne dei camorristi, spaventata all’idea di perdere il suo uomo da un momento all’altro.
Ma quest’uomo è davvero solo suo? No. La vita di Giovanni appartiene a Salvatore. Quest’ultimo è un contabile, lavora per la famiglia di Giovanni e a volte ha paura. I due si conoscono ad uno di quei festini dove droghe e perversioni la fanno da padroni, ma l’alchimia che li cattura non ha nulla a che vedere con la dissolutezza dello scenario in cui nasce, anzi…
La storia, perché solo di una storia si tratta (come sottolinea l’autore stesso nei ringraziamenti a fine testo) si consuma rapida, ma colpisce forte come uno schiaffo in faccia, ti tiene incollato alla pagina, ti trascina e ti invita, se non a tentare di comprendere, quanto meno ad approfondire una realtà in cui vige la regola del paradosso.
In una Napoli in cui anche i muri hanno gli occhi, Giovanni e Salvatore sperimenteranno sulla loro pelle che nessun errore, tanto meno quelli che Dante indica come "contro natura", può essere perdonato. E a quel punto non esistono più vincoli o legami, non c’è più affetto, non c’è più sentimento. D’altronde "L’onore è più forte della carne, è più forte del sangue".
(www.rivistaonline.com)
Buona lettura:)