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Le strisce e il futuro
L'età estrema è un libro sulla morte e sull'apocalisse inarrestabile di quel "mostro mite" che è diventato l'Occidente; eppure non è un libro disperato. L'autore, docente universitario ai vertici della carriera, affida a una scrittura sapientissima, spietata e al tempo stesso pietosa, la ricostruzione memoriale della sua vita ridotta a una successione di episodi irrelati nel ricordo e nel racconto. La forma, frammentata ed ellittica, rinuncia a un plot serrato e oggittivante per render conto, con i vuoti e gli spazi bianchi, di quella fine della storia che, negli ultimi quarant'anni, avrebbe levato l'ingombro delle ideologie: solo "strisce" più o meno rilevanti, come dice Claudine, il personaggio femminile alter-ego dell'autore. Ma Claudine, disincantata ben prima di giungere alla sua età estrema, alla fine fa una scelta in controtendenza e accetta il figlio che le si annuncia pur non conoscendone il padre. In solitudine, certo, e senza alcuna enfasi, in parte per egoismo ("si deve pure far succedere qualcosa", confessa al protagonista da cui si congeda definitivamente), ma con una temerarietà sorprendente sceglie una striscia che la impegna verso il futuro. Claudine non è una donna fredda, è una donna forte. L'intellettuale-narratore, che si è autorappresentato ben due volte in una scimmia, ritrova nell'istinto biologico di maternità un gesto generoso e amoroso contro la presunzione di una gaia e mortale autosufficienza.
La tenerezza di questo racconto è anch'essa un gesto amoroso: verso tutti noi che in questo mondo ci tocca vivere e farci carico delle sue sorti. Ed è un bel controcanto all'imponente ultimo saggio dell'autore, L'incontro e il caso, sul romanzo europeo dell'Otto-Novecento.