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La manomissione delle persone
Parafrasando l’omonimo titolo del romanzo di Carofiglio, che tratta invece della manomissione delle parole, potrebbe essere questo il riassunto minimo del bel libro di Guido De Marchi. Un testo di fantapolitica scritto in un italiano preciso e colto, tuttavia moderno, che regge un gioco letterario e intellettuale affascinante e coinvolgente fino alla fine. Perché, invece, “L’uomo con il sole in tasca”?
“Un velo dorato: così gli apparve, dalla finestra cui appoggiò la fronte, l’alba di quel giorno (…) il sole stesso si annunciava appena (…) Ma lui quel sole se lo sentiva già dentro, lo aveva in tasca, lui, il sole: e la bellezza dello spettacolo che si apriva ogni mattina ai suoi piedi completava, forse, ma nulla aggiungeva alla sua felicità” (pag. 11). Che è poi la felicità dell’uomo di successo. Inizia così il romanzo e già costruisce il personaggio del Presidente del Consiglio, in cui si può facilmente riconoscere Silvio Berlusconi. La storia è quella del suo sequestro ad opera delle nuove Brigate rosse, sulla falsa riga di quello di Moro. Nel resoconto del suo interrogatorio vi è tutta la sua dialettica, nonché l’abilità di capire le persone e di sfruttarne le debolezze a suo favore, attraverso il dominio dell’immaginazione e dei desideri. Uno splendido e puntuale ritratto di manipolatore che ha la meglio su chiunque, sia esso pure un terrorista, viva di sogni (e bisogni) non realizzati. “A noi interessa che parli”, dice Mario, uno dei sequestratori, ma “nella sua logorrea ci infilerebbe anche delle risposte sensate all’interrogatorio? Quello tira fuori di tutto e di più, anche delle sue mutande ti parla, ma non di quello che gli chiedi” (pag. 45). Tant’è che del conflitto d’interessi, su cui verte il capo d’accusa del processo brigatista, il prigioniero non parlerà mai e riuscirà a condurre il gioco a modo suo, creando liti e contrasti tra i membri del gruppo. Intorno alla sua figura conosciamo a poco a poco, nell’evolversi delle situazioni e delle problematiche del sequestro, i tre terroristi. Luca, il più anziano, che è anche il capo, ex appartenente alla prima lotta armata, quella degli anni ottanta, che dimostra di essere il vero antagonista politico e che la personale lealtà e il rimpianto del passato rendono solo e perciò fragile. Cecilia, la ragazza del gruppo, accecata dal fanatismo e in perenne contrasto con lui. E Mario, il suo compagno di vita, il più giovane e ingenuo.
Su tutti, il personaggio del commissario Leandri, incaricato delle indagini, che si dimostra traghettatore dal passato al presente, quasi rassegnato alla sopravvivenza del peggio e alla morte di qualsiasi morale. “Il vero mutamento era insieme più profondo e meno visibile, avveniva nell’individuo ma non scaturiva da lui (…) alterando il senso di giustizia e dei rapporti umani, la lingua quotidiana e la mimica e forse persino la fisionomia (…) per esaurirsi poi nell’ignavia” (pag. 113). Il suo incarico e la lealtà allo Stato gli impongono di fare il suo lavoro, anche se quasi si augura di non risolvere il caso, trovando il covo: “Fosse anche stata un’eventualità verosimile, era poco per pensare di rinunciare a cercarlo, poco perfino per sperare di non trovarlo” (pag. 117). La lotta intima e morale d’un uomo profondamente onesto, deluso dal mondo (“Il mondo che cambia…ma che cosa cambiava veramente?” (pag. 113) e dal potere politico, che, con le sue riflessioni apparentemente secondarie tra le descrizioni dei deliri e delle diatribe di terroristi e prigioniero su mafia e democrazia, potere politico e società, diventa il filo conduttore dell’intero libro.
Un tuffo nel passato, per chi gli anni di piombo se li ricorda. Un educativo adeguamento al presente per i giovani. Per tutti, un’attenta e geniale analisi politica dei rischi attuali: non è più tempo di sogni.