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L’inquilino del letto n 7.
Sono in difficoltà nell’esprimermi su questo libro. Non mi è piaciuto.
Se è interessante la narrazione che alterna il punto di vista del paziente e del medico, dunque questa scelta di modalità del racconto, il resto mi lascia fredda e perplessa.
Anche la rappresentazione, da un lato del cinico mondo ospedaliero, fatto di gelosie, indifferenza, carriera e invece di affetto e solidarietà, di missione dall’altro è, nel modo di raccontare, così banalmente semplice, quasi affrettato direi.
Superficiale, ecco l’aggettivo che più mi viene in mente.
Io che a questi temi sono molto sensibile, mi aspettavo qualcosa di completamente diverso. Forse fatti e storie realmente accaduti? Dove i pensieri espressi erano davvero i pensieri pensati dal malato? Forse si.
Voglio conoscere le testimonianze vere. Come quelle di Beppino Englaro opp di Mina Welby.
Non mi interessa, anzi trovo assurdo che chi scrive, si arroghi il diritto di sapere cosa il paziente tracheotomizzato pensi in quella terribile situazione. Oppure questa riportata nel libro è una testimonianza vera, precisa, di un paziente che lo scrittore ha incontrato nel suo lavoro in ospedale? E se si, perché non lo ha specificato chiaramente? Perché, nel parlare per conto del paziente, nell’attribuirgli pensieri di un certo tipo, viene fatta una scelta ben chiara in tal senso. E questo non mi piace.
Cosa tu, Marco Venturino, pensi di sapere loro pensino, non mi interessa. Con tutto il rispetto per ciò che tu pensi ovviamente, e per il lavoro che svolgi. Questo è fuori questione.
Inoltre si legge facilmente, aiutato dalla leggerezza del tono, e anche questo lo giudico negativamente.
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Mi piace la recensione, intendo.