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Il torto del soldato
 
Il torto del soldato 2012-09-09 05:21:23 Bruno Elpis
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Bruno Elpis Opinione inserita da Bruno Elpis    09 Settembre, 2012
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“Il torto del soldato” di Erri De Luca - Commento

“Il torto del soldato” è uno splendido ‘racconto lungo’, metà narrato da una prospettiva maschile, metà visto con occhio femminile. I due protagonisti, entrambi narratori, si incontrano in una locanda del Gadertal. Ove il destino esplode.
Il protagonista maschile è uno scrittore che conosce il dialetto yiddish. Ma anche la lingua ebraica: “la iod, iniziale del nome impronunciabile della divinità … jahwè … il tetragramma si può scrivere ma non dire, la bocca non è degna.” A lui, una casa editrice affida il compito di selezionare i racconti di Israel Yehoshua Singer. In questa attività, il narratore vaga indifferentemente tra le escursioni della sua vacanza in montagna e tra le memorie dell’Olocausto: “… Non riuscii a raggiungere Treblinka … Entrai invece in Auschwitz e in Birkenau, il più vasto luogo di sterminio … Mi sedetti su una delle panche di legno che a castello ospitavano i corpi sfiniti da lavoro e fame. Chiusi gli occhi, mi addormentai per un minuto, perché non so pregare.” Coinvolto dalla tragedia che lì si è consumata: “Prima di uscire compii un furto sacrilego. Tra i binari dismessi che finivano dentro il campo, mi chinai e raccolsi il bullone di una traversina, storto e ribattuto.”
La protagonista femminile promette sintesi e lucidità nella sua narrazione, salvo esclamare ripetutamente: “Chiedo scusa della digressione”. Così, per nostra fortuna, quelle digressioni noi possiamo leggerle ...
La donna è figlia di un gerarca nazista (“Ha vissuto in Patagonia, al confine col Cile, sotto le Ande basse che ripetevano paesaggi a lui familiari, case di pietra e legno” e “ha fatto il portalettere fino alla pensione”). Temendo di essere individuato, vive nella paura (“A forza di guardarsi le spalle aveva occhi pure dietro la nuca. Annotava le targhe …”). La sua vera identità viene rivelata alla figlia all’età di vent’anni, quando la madre decide di andarsene. Lei resta, risucchiata dai ricordi (“Dell’infanzia viennese ho ricordi metallici”), soprattutto delle estati trascorse a Ischia: “… imparai a nuotare da un ragazzo sordomuto, figlio di pescatore … il contatto delle sue dita mi toglieva il peso.” “Sull’isola ho saputo per la prima volta che il vento non viaggia come un fiume a corrente continua, ma come il mare che si muove a onde.”
Le descrizioni paesaggistiche di De Luca sono uniche. Ne riporto una: “Le montagne intorno si erano accostate. Il sole radente le perquisiva entrando nelle linee verticali, scendendo alla loro altezza. Veniva voglia di trovarmi lassù dove avveniva lo struscio tra le rocce e la luce. In quell’ora succede un’intimità fisica tra la materia e l’aria. Il sole si spalma a burro, si strofina addosso.”
La prosa procede originale, serrata, a colpi di aforismi.
Come questi, sulla bellezza:
“Il bello consiste in variazioni?”
“La bellezza inventa varianti, non si ripete a specchio.”
E questi, sui sensi:
“La voce umana lascia nell’udito impronte più decise di quelle digitali.”
“La voce dei carcerieri si conficca in alta fedeltà nell’insonnia dei prigionieri.”
Affermando, delle orecchie: “Sono la parte del corpo più simile alle conchiglie”.
E sulla condizione della donna:
“Ho cercato negli uomini le mani che da bambina mi toglievano peso mettendomi su un letto di acqua e dita. Nessuno mi ha esaudito.”
Anche replicando un aforisma di Hofmannsthal: “La profondità si nasconde in superficie”.
Una lettura che non può deludere. Né mancare.

Bruno Elpis

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