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Il dolore condiviso
Una forte mareggiata e un incidente impediscono il rientro verso il continente di due visitatori al carcere speciale dell’Isola, forse l’Asinara.
Probabilmente la Melandri non rivela il nome dei luoghi proprio perché la storia possa assumere un valore universale. Questo carcere speciale avrebbe potuto essere in qualsiasi altro luogo in quel particolare periodo, la fine degli anni Settanta, quando una minoranza terrorista chiamava “autofinanziamento” le rapine, “rivoluzione” la violenza ai danni di uomini-simbolo delle Istituzioni, “servi dello Stato” i tutori dell’ordine, “proletariato” loro stessi e i loro simpatizzanti, indipendentemente dalla vera classe sociale di appartenenza.
Il figlio di Paolo, ex professore di filosofia, è uno di quei terroristi prigionieri dell’Isola e lui non si dà pace al pensiero che il seme di quella violenza possa essere involontariamente derivato proprio dalle sue parole. In uno dei tanti flash-back ricorda come avesse sempre cercato, fin da quando il figlio era bambino, di instillare in lui l’amore per l’uguaglianza, come lo incitasse a cercare di cambiare il mondo perché fosse un posto più giusto.
Quando un allievo gli dirà, mostrandogli il pugno chiuso, di riferire al figlio che i compagni sono orgogliosi di lui, Paolo abbandonerà per sempre l’insegnamento, conscio di aver fallito quella che per lui era una missione.
Tiene nel portafogli un ritaglio di giornale con la foto di una bambina ai funerali del padre, che è stato una delle vittime del figlio di Paolo.
Luisa, invece, è la moglie di un uomo condannato per aver ucciso due persone a mani nude.
Conosce solo la fatica dei campi e l’impegno di tirar su i figli unicamente con le sue forze. Dell’amore sa solo l’accettazione dei doveri coniugali e la paura per un marito violento e insensibile.
E’ una persona semplice di buoni e saldi principi, che va a trovare il marito per senso del dovere e non spera più in niente di buono e di nuovo per lei.
L’incontro con Paolo le farà invece capire che esistono anche uomini diversi, persone capaci di lasciarti il posto più comodo, di accarezzarti i capelli, di tenerti la mano mentre piangi e fino a che non ti addormenti.
Due vite attraversate da dolori diversi, più viscerale quello di Paolo, più legato alla situazione contingente quello di Luisa, si incontrano per un attimo, troppo breve per sconvolgerne il percorso, ma così intenso da riuscire a rendere più leggero il reciproco, penoso fardello.
Dopo l’unica notte d’amore Luisa “porterà” la foto della bambina nel proprio portafogli.
Trovo bellissima questa invenzione narrativa e l’utilizzo del verbo portare usato proprio per suggerire il caricarsi di un peso che è stato di un altro.
L’agente carcerario Nitti ha in consegna i due visitatori ed è sull’Isola da tantissimo tempo. Con lui vivono la moglie Maria Caterina e i due figli, da lui teneramente amati. Il carcere ha modificato il suo carattere, l’ha reso a tratti violento per rispondere alla brutalità dei carcerati, ha fatto di lui il prigioniero di un ruolo.
Il “servo dello Stato” che per i terroristi, quindi anche per il figlio di Paolo rappresenta il nemico, è in realtà un lavoratore onesto che cerca di fare il proprio lavoro, il vero proletario della situazione, come direbbe Pasolini .
Anche per lui Luisa farà qualcosa, favorendo con le sue parole di commiato il confronto sincero con la moglie, che proprio alla visitatrice aveva rivelato i suoi timori legati alle durezze del carcere.
La Melandri con stile semplice e incisivo ci fa rivivere un decennio particolare della nostra Storia, immergendoci con sensibilità e partecipazione emotiva in questo spaccato di vite coinvolte dai tragici avvenimenti di quegli anni.
Commenti
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Come saprai, Più alto del mare è arrivato secondo al premio Campiello e penso che anche da noi si piazzerà bene.
La Melandri è brava, penso di leggere anche il suo libro precedente, Eva dorme.
Ciao carissima Silvia, grazie per la tua attenzione e buona lettura!
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grazie per la segnalazione, Giuse !!!