Dettagli Recensione
Semo perduti...noi che sanza speme vivemo in disio
Non è un romanzo che mi ha convinto del tutto, visto che solo l'ultima settantina di pagine - su 473 -
è stata quella che ho apprezzato di più. Anche prima non mancano passaggi ben riusciti, ma si indugia un po' troppo sul sentimentalismo, su costrutti allungati come gargarismi (“il borborigmo dell'acqua che gorgoglia nella vasca”) e su digressioni noiosette.
Del resto Manuela, la protagonista, chiaramente tratteggiata per ispirare tenerezza, sembra una gattamorta della più bell'acqua con “quell'ossessione della condotta incensurabile”, lei, maresciallo senza macchia e senza paura. E il personaggio di Mattia, bel tenebroso con tanto di Rolex al polso, sembra uscito paro paro da un romanzo rosa. Inaccettabile poi la superficialità con cui viene trattato l'episodio di uno stupro di massa contro una donna sotto l'effetto di droghe: fosse stata la fuoriclasse Manuela, la scrittrice ci avrebbe magari imbastito tutto un dramma, ma era solo Vanessa, la sorella un po' tamarra.
Certo, lo stile è solido e i dialoghi, privi di virgolettato, si amalgamano armoniosamente con i pensieri. Ma è soprattutto l'ultima parte che riscatta tutto il resto: con parole asciutte, spogliate di ogni sdolcinata retorica, si arriva al centro dei sentimenti.
I personaggi si fanno più vulnerabili, si piegano per non spezzarsi e guardano all'avvenire con un coraggio che non ha niente a che vedere con l'eroismo del militare o con la tracotanza di chi sfida la vita. Assistiamo in un certo senso alla loro morte, necessaria per farli rinascere persone migliori.
“Bisogna conciliarsi col proprio destino, e non è una sconfitta, c'è qualcosa di grande, e dolce, in questo. Lo so, dice Manuela”.