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Il deserto dei tartari
 
Il deserto dei tartari 2012-08-15 06:30:05 marty96
Voto medio 
 
4.3
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
4.0
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4.0
marty96 Opinione inserita da marty96    15 Agosto, 2012
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ALL'INIZIO BOOOO.... POI AHHHH!!!!

“Il deserto dei Tartari” è il romanzo più famoso di Dino Buzzati, esce nel 1940 e viene subito definito come una delle opere più originali della letteratura italiana e straniera, con al suo in-terno, la biografia e la memoria di uomini grandi e meschini e la storia di fatti e di illusioni di ieri e oggi.
Il giovane tenente Giovanni Drogo, attraverso un fatico viaggio attraverso il bosco, durato circa un giorno, giunge, insieme al capitano Ortiz, alla Fortezza Bastiani, uno sperduto presidio al limite del deserto settentrionale. La prima impressione di Drogo, nei confronti della frontiera, è terribile, tanto che vorrebbe andare via subito. Purtroppo ciò non è possibile, gli viene però consigliato dal maggiore Matti, di permanere alla Fortezza per circa quattro mesi, di farsi visitare dal medico e di lamentare dolori al cuore. All’inizio ritrovarsi in quel luogo, contornato dalla desolazione più assoluta, per Drogo risulta sconcertante e soprattutto deprimente. Nonostante questi primi giudizi il tenente finisce per trovare un suo equilibri all’interno di quella realtà militare tanto da rifiutarsi di ritornare in città passati i quattro mesi. Inizia, in questo modo, per Giovanni, una vita scandita da giorni tutti uguali, da una routine ferrea, in questo ambiente il giovane tenente conosce i personaggi principali del romanzo fra cui il maggiore Tronk, il maresciallo Prosdocimo, e i suoi unici “amici”: Piero Angustina e Carlo Morel. Intanto Giovanni capisce che all’interno della fortezza tutte le persone aspirano e attendono un avvenimento: la calata dei Tartari dal nord del deserto. Questo episodio è bramato da tutti perché rappresenta la gloria, il coronamento di una vita e la conferma che l’esistenza passata entro quelle mura non è stata vana. Dopo esattamente due anni, arriva, dal deserto, un cavallo nero. In un primo momento, l’animale rappresenta la certezza della presenza di una popolazione ostile al di là dal deserto. Purtroppo le speranze di tutti i soldati e ufficiali vengono disilluse da una vaga somiglianza del cavallo a quello di un nuovo militare: Lazzari. Quest’ultimo si precipita per riappropriarsi del suo animale ma, perdendo la concezione del tempo, rimane al di fuori della Fortezza oltre il tempo consentito. Intanto Tronk, un soldato di vedetta, intravede un movimento da basso e capendo che proviene da Lazzari decide di sparare comunque e uccide il soldato dopo aver dato per tre volte di seguito il “chi va là”. Nonostante questo spiacevole episodio la vita all’interno della frontiera rimane invariata. Poco dopo essendo stato avvistato un contingente di ignota appartenenza avvicinarsi alla Fortezza, viene eseguita una spedizione a cui partecipa Angustina, che in quelle circostanze perde la vita. Dopo questo avvenimento la vita alla frontiera torna alla normalità e in quel clima passano altri due anni. In seguito Drogo, convinto da Ortiz, prende una licenza e va a trovare la madre e i vecchi amici, sentendosi inadeguato e a disagio a causa del tempo passato, cerca di fare ritorno alla sua quotidianità. Nonostante questa aspirazione si reca alle autorità per ottenere un trasferimento, purtroppo viene avvertito della diminuzione del personale militare, essendo uno degli ultimi a domandare uno spostamento, la sua richiesta viene assolutamente bocciata e viene rispedito nel deserto. Tornato dalla licenza, vede partire uno dei suoi vecchi compagni, in questo modo non gli rimane che l’amicizia di Ortiz, divenuto ormai maggiore. In quel periodo ap-profondisce la conoscenza del tenente Simeoni che, come lui, anela ad una battaglia imminen-te. Per i due nuovi ”amici” al cosa più interessante è scrutare l’orizzonte attraverso il binocolo. Un giorno percepiscono degli avvistamenti, a cui però nessuno crede, in seguito all’insistenza dei due compagni viene vietata l’osservazione del territorio. Mentre Simeoni obbedirà agli ordini, Drogo continuerà, in segreto, ad guardare il deserto. Finalmente in luglio avvista dei lumi all’orizzonte: i nemici stanno lavorando in quella landa desolata stanno, infatti, costruendo una strada. Quindici anni dopo sono conclusi i lavori, ma non arriva alcun attacco. Nel frattempo Drogo diventa capitano, non ha più legami con la sua famiglia e persino Ortiz va in pensione lasciando il comando della Fortezza a Simeoni. Passano gli anni e Giovanni, con il grado di maggiore, è il comandante in seconda della Fortezza: ha cinquantaquattro anni e il fisico colpito da una malattia molto grave. Proprio ora, quando sembra che la vita non abbia più niente da offrirgli, il nemico è alle porte e si prepara per uno scontro imminente. Nonostante Drogo voglia restare nella fortezza, il comandante lo obbliga ad andarsene. Così Giovanni si ferma in una locanda e lì in una piccola stanza in affitto, completamente solo, affronta la sua vera unica battaglia: la morte.
La vicenda del romanzo è ambientata in un paese non identificato. Per quanto riguarda gli spazi aperti fa da grande protagonista il deserto. Non vi sono descrizioni particolarmente dettagliate di questo ambiente, viene tramandato come luogo brullo, impervio e soprattutto desolato, in questo modo, l’autore vuole, forse, dare maggiore libertà alla fantasia del lettore. Prendendo in considerazione gli spazi chiusi, l’elemento più importante è sicuramente la For-tezza Bastiani. Questa, invece, viene descritta come un’ architettura non imponente, né bella e pittoresca, con mura basse e assolutamente spoglia e sobria.
Il periodo storico in cui si svolge la narrazione non è citato. Presumibilmente rientra fra l’inizio e la fine del secolo scorso. La storia si prolunga, tuttavia, per un tempo di circa trent’anni, prende, infatti, in esame la vita di Drogo da quando arriva alla Fortezza al giorno della sua morte.
Giovanni Drogo è il protagonista della nostra storia. Un personaggio particolare e difficile da analizzare per la scarsità di personalità e carattere. Una persona mediocre, giudizio questo, dovuto alla sua mancanza di difetti e di virtù. Nello stesso tempo l’autore non cerca di farcelo apparire più piacevole dal punto di vista fisico, in quanto non vi sono descrizioni dettagliate. La presentazione della sua persona più bella nella quale lo scrittore sottolinea la relazione che c’è fra il suo aspetto e la sua importanza all’interno della fortezza è:”nessuno fece molta attenzione, a un ufficiale magro, dal volto smunto e giallastro, che scendeva lentamente le scale..” . in questo personaggio Buzzati vuole marcare anche la volontà di non cambiare che può essere giustificata dal suo cercare una sicurezza e una conferma del proprio essere. I suoi tristi sentimenti, il rimpianto dell’infanzia, l’insoddisfazione della sua vita si traducono in una desolata solitudine, della quale Drogo è sempre più consapevole.
Il capitano Ortiz ha un ruolo particolare nella vicenda, infatti, affianca Drogo nel momento dell’incontro con la Fortezza, funge da intermediario, solo con li Giovanni instaurerà un rap-porto di amicizia che si protrarrà inalterato negli anni nonostante la differenza di grado.
Simeoni può forse essere considerato l’antagonista. È, infatti, lui che infrange per ben due volte il sogno di Drogo: quello di vedere e di combattere i nemici; rappresenta molto bene coloro che no si pongono domande sul senso della loro vita, che ignorano l’assurdità dell’esistere.
La madre di Drogo è sicuramente una presenza marginale, di fatto non si conosce neppure il suo nome, eppure è il personaggio grazie al quale si evidenzia sempre più il distacco fra Drogo e il mondo esterno, il paese e il passato.
Angustina è uno dei primissimi compagni di Giovanni. È il soldato che muore durante la spe-dizione, in seguito all’avvistamento di un contingente difficilmente identificabile. Questo per-sonaggio è caratterizzato da un carattere particolare snob e quasi aristocratico, molto orgo-glioso.
Tronk raffigura l’incarnazione della massima fede al regolamento e al mondo militare, questo sua visione così schematica del mondo che lo circonda provocherà la morte del soldato Lazzari.
L’attesa… questa è la vera protagonista di tutto il romanzo. Impercettibile ma presente in ma-niera e dose costante nel testo. L’illusione che qualcosa di grande, di importante stia per accadere, qualcosa che possa riscattare la permanenza in una frontiera isolata e angusta come quella descritta nel libro. L’attesa può essere paragonata in un certo senso ad una forma di speranza che ricade negli avvenimenti senza però mutarli in maniera passiva, indifferente, distaccata: esterna.
I temi di questo libro sono vari e molteplici, ma tutti riconducibili al profondo disagio morale che prova l’uomo nei confronti dell’esistenza.
“Difficile è credere in una cosa quando si è soli, e non se ne può parlare con alcuno. Proprio in quel tempo Drogo si accorse come gli uomini, per quanto possano volersi bene, rimangano sempre lontani; che se uno soffre, il dolore è completamente suo, nessun altro può prenderne su si sé una minima parte; ce se uno soffre, gli altri per questo non sentono male, anche se l’amore è grande, e questo provoca la solitudine nella vita.”
La solitudine e l’incomunicabilità. La sofferenza scaturita da una placida accettazione dell’ “e-marginazione” a cui l’uomo è sottoposto, dal momento in cui viene stregato e ammaliato dalla propria Fortezza Bastiani, metafora e simbolo della chiusura di carattere, dell’isolamento voluto e cercato, creato attraverso una routine ferrea fatta di abitudine e piccole certezze su cui ogni personaggio fonda la sua esistenza nell’attesa di un riscatto. Emarginazione che crea lui stesso per difendersi da un mondo esterno incontrollabile e spietato con chi non si sa adattare alle sue regole. La soluzione per Giovanni drogo è quindi la “fuga” dalla realtà circoscrivendosi in un mondo fatto di ore di ronda e piccole partite a carte, scricchiolii delle porte e tonfi delle fogne, un mondo incentrato tutto su quel deserto infinito che si protrae davanti ai suoi occhi. In questo clima Giovanni Drogo spende la sua vita/non vita, è proprio lì che trascorrerà i suoi anni migliori e che si lascerà alle spella i sogni puerili per abbracciare l’illusione di poter diventare un giorno un eroe. Intanto però il tempo scorre imperterrito e così senza nemmeno avere avuto il tempo di pensarci è già tardi per cambiare vita, è tardi per tornare indietro, resta solo una malinconia accettata e consapevole e una ferrea speranza che qualcosa di straordinario possa ancora accadere!
“Il tempo intanto correva, il suo battito silenzioso scandisce sempre più precipitoso la vita, non ci si può fermare neanche un attimo, neppure per un’occhiata indietro. ‘Ferma, ferma!’ si vorrebbe gridare, ma si capisce che è inutile. Tutto quanto fugge via, gli uomini, le stagioni, le nubi; e non serve aggrapparsi alle pietre, resistere in cima a qualche scoglio, le dita stanche si aprono, le braccia si afflosciano inerti, si è trascinati ancora nel fiume, che pare lento ma non si ferma mai.”
È in questa Fortezza, nella “Fortezza” di ogni individuo che si perde, maggiormente, la conce-zione del tempo, si resta sospesi tra l’egoismo, tra le speranze e le illusioni che riempiono l’animo fino a farlo scoppiare, tanto pieno da non aver posto per nient’altro. In questa sospensione la vita la si sfiora, la si vive in maniera passiva, distaccata e fredda, si perdono e si buttano all’aria occasioni d’oro sperando di intravedere fra le tenebre uno spiraglio di luce tale da poter illuminare, anche solo per un tempo brevissimo, il sentiero da seguire.
Il libro quindi termina, come termina la vita di ognuno, con l’ultima tappa, l’ultima stazione, la vera e propria battaglia la morte, a cui Drogo va incontro sorridendo, perché vede finalmente, a viso scoperto, quel nemico che sperava scendesse dal deserto.
In questo libro si ritrovano le tematiche e gli interrogativi di ogni uomo: la differenza fra vivere ed esistere, lo scorrere inesorabile del tempo, la vita intesa come attesa di un avvenimento, la solitudine e l’illogica emarginazione dell’uomo, la sospensione dell’esistenza nel dubbio e in un incertezza fatta di tantissime piccole certezze dettate dall’abitudine e dai fattori protettivi dell’individuo in questione ma soprattutto il limite sottilissimo che c’è fra ciò che è reale e ciò che, invece, è solo speranza, illusione, aspirazione, desiderio. Questi ultimi fattori se coltivati vanno, infatti, a creare nell’animo dell’uomo un involucro protettivo attraverso il quale la persona si distanzia dal mondo esterno, creandosi una sua dimensione.
Dal punto di vista stilistico il libro è diviso in capitoli, per l’esattezza trenta. Un particolare che mi è saltato subito all’occhio, è che anche attraverso la stesura dei capitoli e la distribuzione del testo in questi, si può scorgere l’azione del tempo che passa e non si ferma. Infatti, ventuno dei trenta capitoli, raccontano solo quattro anni della vita di Drogo, mentre i quattro successivi spiegano i dieci anni seguenti e così andando avanti fino a che da un capitolo e l’altro passano addirittura quindici anni: man mani che il romanzo, e la vita di Drogo, precipitano verso la conclusione, il tempo passa sempre più velocemente. in questo modo si appanna l’incantesimo della Fortezza e se ne svela l’inganno.
In alcuni capitoli sono presenti dei flashback, che hanno la funzione di approfondire elementi passati o di anticiparne altri.
Mi ha colpito molto la scelta della voce narrante; questa conosce, e lo lascia intuire, il futuro di ogni singolo personaggio, ci fa sapere ciò che questi pensano, provano, dandoci in questo modo una visione dei fatti onnisciente.
Per concludere l’analisi, il romanzo mi è sembrato scritto in lingua semplice, vicina all’uso quotidiano, sono, naturalmente, presenti linguaggi settoriali propri dell’ambiente militare in cui è ambientata la maggior parte della vicenda. Nei momenti di riflessione, contrariamente a quelli descrittivi, il linguaggio appare più ricercato e più colto. Sono presenti varie forme retoriche fra le quali spicca la metafora. La storia viene esposta in maniera chiara e lineare.
C’è chi, questo libro, lo abbandona alle prime pagine esasperato dalla lentezza della narrazio-ne e chi, seppur con fatica, arriva in fondo, convinto che sarebbe stato più semplice attraver-sare il deserto a piedi. Eppure non posso dire di aver letto un testo né insignificante, nono-stante la trama veramente inconsistente, né scialbo nei contenuti, anzi nella povertà del rac-conto sono subentrate le fantasie, le riflessioni, incalzate dall’autore, le illusioni e i giudizi ri-volti ai personaggi. Tutto questo miscelato attraverso una dose di leggera suspense che fa capolino fra una frase e l’altra. Da chiarire, non si tratta di quella tensione di un libro thriller o giallo, ma di una velata trepidazione per Giovanni che accompagniamo nel suo difficile viaggio. Una lettura faticosa ma intrigante e affascinante, nello stesso tempo molto pesante e complessa soprattutto per la quantità e l’ampiezza dei temi trattati, che portano a delle riflessioni profonde e non sempre semplici. Ed è proprio in questo palcoscenico rarefatto, la cui percezione dello spazio e del tempo si dissolvono, che si muove Drogo, il protagonista, da tutti giudicato e criticato per aver speso una vita, la sua vita, nell’attesa della gloria che purtroppo non arriva. La difficoltà di leggere questo testo la si supera soprattutto quando si inizia a conoscere meglio quest’ultimo personaggio, infatti, esaminando quel mondo immaginario, con il suo occhio critico, facendosi carico dei suoi sogni e delle sue speranze, si può cogliere l’essenza di questo libro che, ovviamente, si spinge al di là della mera descrizione di questo deserto.
Sotto la corazza caratterizzata dalla scarsità di tutto ( personaggi, ambientazione, trama) si ritrova la metafora della vita di ognuno… perché, sinceramente, chi è quell’uomo che non aspetta, magari non in modo così ossessivo, quel qualcosa che dia un senso, che porti a compimento tutto il suo vissuto? Questo fattore secondo me rappresenta la continua fuga dalla quotidianità che, se da un parte ci rassicura e ci da protezione, dall’altra ci fa paura perché ci soffoca e ci fa morire prima del tempo. Quel qualcosa che possa rimanere nella storia come segno indelebile del nostro passaggio per di “qua”.
Un libro che, nonostante sia un capolavoro, lascia l’amaro in bocca… ci siamo, infatti, ormai tutti affezionati a Giovanni, che non possiamo criticare perché, infondo, non ispira antipatia, ma che nemmeno possiamo lodare per la sua pigrizia e la sua arrendevolezza, è proprio que-sto personaggio che non riuscendo a cambiare il suo destino funge da monito per tutte le persone rinchiuse nella loro “Fortezza”, nel loro rifugio nell’attesa che qualcuno possa buttare giù le pietre e finalmente liberarle da loro stesse. Un personaggio che va preso come esempio da non seguire per non ritrovarsi soli e per non arrivare un giorno a dire:”…se avessi fatto… se avessi detto…”

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Ciao, ma stai facendo i compiti per le vacanze??
A parte la battutA, le recensioni sono molto sentite, ma sembrano i maxi-temi che preparavo per far contenta la mia prof d'italiano...Scrivi bene e ti vorrei leggere, però se fossi un filino più breve, apprezzerei di più..
A presto
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